La stanca liturgia: equo compenso ancora all’Ordine del Giorno questa settimana
Mi sono stancato anch’io di registrare quella che è diventata una ripetitiva liturgia e che assume sempre più i contorni di una beffa, in considerazione del fatto che alla Camera dei Deputati è iniziata la sessione di bilancio, che quindi terrà impegnate tutte le commissioni in sede referente per le materie di propria competenza: comunque anche questa settimana, come si evince dal calendario delle convocazioni emesso dal sito del Senato, ci sarà l’esame del disegno di legge dell’equo compenso giornalistico.
Ma, neanche a dirlo, la seduta di mercoledì 7, dalla durata come al solito di circa un’ora, sarà riempita con ben sette argomenti e, dovendo votare uno per uno i dodici emendamenti presentati, la facile previsione è che o si esamineranno solo alcuni emendamenti o comunque, riuscendo a votarli tutti, la votazione finale sarà rinviata alla settimana prossima.
Quindi: un’altra settimana persa.
Alla Camera poi, dove il ddl dovrà ripassare, quando e come sarà calendarizzato?
Insomma non solo “nihil novi sub soli”, ma anche “nihil boni sub soli”.
Io continuo a seguire la questione più per ostinazione che per convinzione. Per fortuna, domani sera parto per Bruxelles, quindi il risultato (prevedibile) della riunione non lo seguirò neppure.
Alla settimana prossima (per gli aggiornamenti sull’equo compenso).
Quando ero liceale, il professore di latino e greco insisteva con i capoccioni: “repetita iuvant”. Nel caso dei giornalisti, i capoccioni non sono ovviamente a scuola, ma in Parlamento, etc. L’equo compenso è la classica toppa attaccata al fondoschiena di pantaloni lisi. E’ stata svuotata di significato quando gli editori hanno chiesto di tenere conto delle piccole testate. Questa legge da partorire, a questo punto, è inutile. C’è da chiedersi la ragione dell’esistenza di testate così piccole da non poter pagare. Hanno una funzione, giornalisticamente parlando? Oppure sono una pignatta per cuocere “marchette” e pubblicità da spacciare per notizie? Gli Ordini, intanto, continuano a sfornare pubblicisti e le scuole giornalisti. Assisteremo ad una lotta tra poveri? Si scanneranno giovani pieni di illusioni e speranze? Eppure la soluzione c’è: la riforma dell’Ordine per ridare un’immagine alla professione e dignità a un lavoro che rischia di affogare nel mare dell’interesse di caste che, diciamola tutta, poco hanno a che fare con il giornalismo e l’informazione.
Mi sento di sottoscrivere ogni tua parola, caro Salvatore: la delusione cocente di una “non-riforma” dell’Ordine dei Giornalisti pesa come un macigno su tutto ciò che può essere fatto per dare migliore accesso alla professione e soprattutto dignità ai compensi che prendiamo. Ogni cosa va fatta per bene, quindi prima si riforma l’impianto generale e poi si passa alle varie articolazioni, una delle quali è l’equo compenso. Come si fa a pensare una qualsiasi norma senza tenere conto che la legge professionale è vecchia di cinquant’anni?
Qui ci sta bene l’ammonimento di Gesù ai farisei: “Nessuno cuce su un vestito vecchio un panno nuovo, altrimenti il rattoppo strappa il buono del vecchio e la lacerazione diventa peggiore” (Mc. 2,20)