Niente assicurazione professionale per i giornalisti: il Governo stralcia la nostra posizione
Quest’oggi, nella riunione del Consiglio dei Ministri che si è tenuta a Roma, il Governo, oltre ad affrontare la situazione dell’Ilva di Taranto, si è occupato della riforma delle professioni dopo le osservazioni del Consiglio di Stato.
Dalla lettura del resoconto sommario (mancano ancora i documenti ufficiali), pubblicato sul sito del Governo, non appare nulla di nuovo, ma una fonte privilegiata (il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino), ci informa che il punto più contestato della riforma, quello relativo all’assicurazione professionale obbligatoria, non sarà addebitato ai giornalisti. E la verifica ci conferma questa notizia!
Questo è il resoconto sommario presente sul sito del Governo:
B. REGOLAMENTO SULLE PROFESSIONI
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento governativo di attuazione della delega sulla riforma degli ordinamenti professionali prevista dalla legge n. 148 del 2011 (stabilizzazione finanziaria e sviluppo).
Il Governo, nella deliberazione finale, ha tenuto in debito conto le osservazioni del Consiglio di Stato e del Parlamento, attuando i principi delle liberalizzazioni. In particolare, è stato garantito il principio dell’accesso alla professione libero e non discriminatorio, e dell’effettività del tirocinio e dell’obbligo di formazione continua permanente del professionista.
Inoltre, è stato stabilito l’obbligo di assicurazione del professionista a tutela del cliente (prevedendo che la negoziazione delle convenzioni collettive con gli ordini professionali avvenga entro il termine di 12 mesi) ed è stata regolata la libertà di pubblicità informativa relativa all’attività professionale.
Infine – sempre in attuazione della delega – è stato fissato il principio della separazione tra gli organi disciplinari e gli organi amministrativi nell’autogoverno degli ordini.
Un testo neutro, come si vede, senza particolari riferimenti alla nostra condizione. Ma qualche minuto fa il presidente Iacopino ha postato questa notizia su Facebook:
NIENTE ASSICURAZIONE PER I GIORNALISTI. È ufficiale. L’Odg ha vinto la sua battaglia. I giornalisti, quale che sia il rapporto che hanno con gli editori, non dovranno sottoscrivere una costosissima polizza di assicurazione. Lo dice chiaramente la relazione tecnica che accompagna il DPR sulla riforma delle professioni, approvato dal Consiglio dei ministri. Le lobbies sono state sconfitte. Ora tocca a quelle che bloccano l’equo compenso.
Una notizia strepitosa, che viene da una fonte autorevolissima, e che viene confermata dai documenti che lo stesso presidente gentilmente mi fornisce.
Nella lunga relazione tecnica allegata al decreto, quel che ci interessa è la parte relativa all’articolo 5. Eccola:
L’articolo 5 definisce i confini dell’obbligo, cui è tenuto il professionista, di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività. Viene precisato che il rischio da coprire con l’assicurazione obbligatoria prevista dalla norma primaria di delegificazione è quello relativo ai danni derivanti al “cliente”, con ciò facendo riferimento alla instaurazione di un rapporto di clientela, nel senso tradizionale della prestazione di un servizio professionale diretto al cliente che lo commette. Ne deriva la necessità di non introdurre alcuna eccezione all’obbligo assicurativo previsto dalla norma primaria, lasciando all’interprete di valutare quando vi sia o no un rapporto di clientela, tale da imporre l’obbligo di assicurazione. Più in generale, la specificazione dell’oggetto dell’assicurazione, riferito alla copertura per i danni derivanti al cliente, consente di escludere, con riferimento alle diverse modalità di configurazione del rapporto professionista-cliente, che l’obbligo in questione possa riguardare il professionista che operi nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente.
Sempre in relazione all’oggetto dell’assicurazione professionale, è specificato che essa riguarda anche i danni connessi alla custodia di documenti o valori ricevuti dal cliente. L’obbligo assicurativo è affiancato da un obbligo informativo del cliente circa gli estremi della polizza, il massimale e le variazioni eventuali delle condizioni.
Come ritenuto necessario dal Consiglio di Stato – sulla scorta di una interpretazione della norma primaria letterale e più restrittiva di quella declinata nel testo sottoposto in prima lettura – viene previsto che le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate dai consigli degli ordini o collegi, ovvero dagli enti previdenziali dei professionisti.
Non si è ritenuto possibile accogliere l’istanza espressa nei pareri delle Commissioni parlamentari volta a introdurre un obbligo delle compagnie di assicurazione alla stipula delle polizze, stabilendo le relative condizioni generali. La norma primaria non conferisce infatti alcuna delega esplicita sul punto, che, ove considerata, comporterebbe una deroga ai principi di libertà di iniziativa economica. Né vi sono dunque i principi generali primari in riferimento ai quali declinare l’ipotetico obbligo a contrarre (Cons. di Stato, 28 febbraio 2002, n. 1120). Resta ferma l’applicazione della normativa generale in tema di concorrenza, per cui l’eventuale pratica di condizioni contrattuali di cartello da parte delle compagnie assicuratrici costituirebbe un illecito, con conseguente applicabilità della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette e antitrust.
Neppure può trovare spazio la modifica, auspicata dalle Commissioni parlamentari, al sistema di esazione dei contributi di quei professionisti al fine di garantire la tenuta del sistema vigente (nell’ordinamento notarile) della polizza collettiva di assicurazione. Si tratta di una materia del tutto estranea ai criteri di delegificazione.
Rispetto allo schema approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, all’articolo 5, è aggiunto il comma 3, per il quale l’obbligo di assicurazione acquista efficacia decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto, al fine di consentire la negoziazione delle convenzioni collettive previste nella medesima disposizione, così da permetterne un’implementazione coerente e completa. Viene in tal modo assentita una condizione posta dalle Commissioni parlamentari, che espressamente riferiscono di aver fatto proprie istanze emerse nelle audizioni delle categorie professionali interessate, in cui è stata sottolineata la necessità operativa di un differimento dell’efficacia della norma in esame.
Legando quindi l’obbligo di assicurazione all’instaurarsi di un rapporto di “clientela”, di fatto viene meno per i giornalisti tale incombenza. Una vittoria, senza dubbio, delle nostre ragioni. Un sollievo non indifferente dopo settimane di incertezza e un buon viatico per l’altra battaglia, quella più dura e significativa, sull’equo compenso.
Per chi vuole approfondire tutto il decreto sulle professioni e relativa relazione, le riporto qui di seguito al completo.
Questo è il testo dello schema di decreto:
Schema di Decreto del Presidente della Repubblica recante “Riforma degli ordinamenti professionali in attuazione dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148”.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l’articolo 87, comma quinto, della Costituzione;
Visto l’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto l’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri del 15 giugno 2012;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 5 luglio 2012;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, resi rispettivamente in data 26 luglio 2012 e 27 luglio 2012;
Vista la definitiva deliberazione del Consiglio dei Ministri del 3 agosto 2012;
Sulla proposta del Ministro della giustizia;
Emana il seguente regolamento:
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1
(Definizione e ambito di applicazione)
1. Ai fini del presente decreto:
a) per «professione regolamentata» si intende l’attività, o l’insieme delle attività, riservate per espressa disposizione di legge o non riservate, il cui esercizio è consentito solo a seguito d’iscrizione in ordini o collegi subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità;
b) per «professionista» si intende l’esercente la professione regolamentata di cui alla lettera a).
2. Il presente decreto si applica alle professioni regolamentate e ai relativi professionisti.
Art. 2
(Accesso ed esercizio dell’attività professionale)
1. Ferma la disciplina dell’esame di Stato, quale prevista in attuazione dei principi di cui all’articolo 33 della Costituzione, e salvo quanto previsto dal presente articolo, l’accesso alle professioni regolamentate è libero. Sono vietate limitazioni alle iscrizioni agli albi professionali che non sono fondate su espresse previsioni inerenti al possesso o al riconoscimento dei titoli previsti dalla legge per la qualifica e l’esercizio professionale,ovvero alla mancanza di condanne penali o disciplinari irrevocabili o ad altri motivi imperativi di interesse generale.
2. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico. La formazione di albi speciali, legittimanti specifici esercizi dell’attività professionale, fondati su specializzazioni ovvero titoli o esami ulteriori, è ammessa solo su previsione espressa di legge.
3. Non sono ammesse limitazioni, in qualsiasi forma, anche attraverso previsioni deontologiche, del numero di persone titolate a esercitare la professione, con attività anche abituale e prevalente, su tutto o parte del territorio dello Stato, salve deroghe espresse fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute. E’ fatta salva l’applicazione delle disposizioni sull’esercizio delle funzioni notarili. 4. Sono in ogni caso vietate limitazioni discriminatorie, anche indirette, all’accesso e all’esercizio della professione, fondate sulla nazionalità del professionista o sulla sede legale dell’associazione professionale o della società tra professionisti.
Articolo 3
(Albo unico nazionale)
1. Gli albi territoriali relativi alle singole professioni regolamentate, tenuti dai rispettivi consigli dell’ordine o del collegio territoriale, sono pubblici e recano l’anagrafe di tutti gli iscritti, con l’annotazione dei provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti.
2. L’insieme degli albi territoriali di ogni professione forma l’albo unico nazionale degli iscritti, tenuto dal consiglio nazionale competente. I consigli territoriali forniscono senza indugio per via telematica ai consigli nazionali tutte le informazioni rilevanti ai fini dell’aggiornamento dell’albo unico nazionale.
Art. 4
(Libera concorrenza e pubblicità informativa)
1. E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.
2. La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.
Art. 5
(Obbligo di assicurazione)
1. Il professionista è tenuto a stipulare, anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti, idonea assicurazione per i danni derivanti al clientedall’esercizio dell’attività professionale, comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva.
2. La violazione della disposizione di cui al comma 1 costituisce illecito disciplinare.
3. Al fine di consentire la negoziazione delle convenzioni collettive di cui al comma 1, l’obbligo di assicurazione di cui al presente articolo acquista efficacia decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.
Art. 6
(Tirocinio per l’accesso)
1. Il tirocinio professionale è obbligatorio ove previsto dai singoli ordinamenti professionali, e ha una durata massima di diciotto mesi. Resta ferma l’esclusione delle professioni sanitarie prevista dall’articolo 9,comma 6, del decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012 n. 27. Il tirocinio consiste nell’addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante, ed è finalizzato a conseguire le capacità necessarie per l’esercizio e la gestione organizzativa della professione.
2. Presso il consiglio dell’ordine o del collegio territoriale è tenuto il registro dei praticanti, l’iscrizione al quale è condizione per lo svolgimento del tirocinio professionale. Ai fini dell’iscrizione nel registro dei praticanti ènecessario, salva l’ipotesi di cui al comma 4, secondo periodo, aver conseguito la laurea o il diverso titolo di istruzione previsti dalla legge per l’accesso alla professione regolamentata, ferme restando le altre disposizioni previste dall’ordinamento universitario.
3. Il professionista affidatario deve avere almeno cinque anni di anzianità di iscrizione all’albo, è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo funzionale alla sua finalità e non può assumere la funzione per più di tre praticanti contemporaneamente, salva la motivata autorizzazione rilasciata dal competente consiglio territoriale sulla base di criteri concernenti l’attività professionale del richiedente e l’organizzazione della stessa,stabiliti con regolamento del consiglio nazionale dell’ordine o del collegio, previo parere vincolante del ministro vigilante.
4. Il tirocinio può essere svolto, in misura non superiore a sei mesi, presso enti o professionisti di altri Paesi con titolo equivalente e abilitati all’esercizio della professione. Il tirocinio può essere altresì svolto per i primi sei mesi, in presenza di specifica convenzione quadro tra il consiglio nazionale dell’ordine o collegio, il ministro dell’istruzione, università e ricerca, e il ministro vigilante, in concomitanza con l’ultimo anno del corso di studio per il conseguimento della laurea necessaria. I consigli territoriali e le università pubbliche e private possono stipulare convenzioni, conformi a quella di cui al periodo precedente, per regolare i reciproci rapporti. Possono essere stipulate analoghe convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini o collegi e il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Resta ferma l’esclusione delle professioni sanitarie prevista dall’articolo 9, comma 6, del decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012 n. 27.
5. Il tirocinio può essere svolto in costanza di rapporto di pubblico impiego ovvero di rapporto di lavoro subordinato privato, purché le relative discipline prevedano modalità e orari di lavoro idonei a consentirne l’effettivo svolgimento. Sul rispetto di tale disposizione vigila il locale consiglio dell’ordine o collegio.
6. Il tirocinio professionale non determina l’instaurazione di rapporto di lavoro subordinato anche occasionale, fermo quanto disposto dall’articolo 9, comma 4, ultimo periodo, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1,convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
7. L’interruzione del tirocinio per oltre tre mesi, senza giustificato motivo, comporta l’inefficacia, ai fini dell’accesso, di quello previamente svolto. Quando ricorre un giustificato motivo, l’interruzione del tirocinio può avere una durata massima di nove mesi, fermo l’effettivo completamento dell’intero periodo previsto.
8. I praticanti osservano gli stessi doveri e norme deontologiche dei professionisti e sono soggetti al medesimo potere disciplinare.
9. Il tirocinio, oltre che nella pratica svolta presso un professionista, può consistere altresì nella frequenza con profitto, per un periodo non superiore a sei mesi, di specifici corsi di formazione professionale organizzati da ordini o collegi. I corsi di formazione possono essere organizzati anche da associazioni di iscritti agli albi e da altri soggetti, autorizzati dai consigli nazionali degli ordini o collegi. Quando deliberano sulla domanda di autorizzazione di cui al periodo precedente, i consigli nazionali trasmettono motivata proposta di delibera al ministro vigilante al fine di acquisire il parere vincolante dello stesso.
10. Il consiglio nazionale dell’ordine o collegio disciplina con regolamento, da emanarsi, previo parere favorevole del ministro vigilante, entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto:
a) le modalità e le condizioni per l’istituzione dei corsi di formazione di cui al comma 9, in modo da garantire la libertà e il pluralismo dell’offerta formativa e della relativa scelta individuale;
b) i contenuti formativi essenziali dei corsi di formazione;
c) la durata minima dei corsi di formazione, prevedendo un carico didattico non inferiore a duecento ore;
d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione da parte del praticante nonché quelle per le verifiche intermedie e finale del profitto, affidate a una commissione composta da professionisti e docenti universitari, in pari numero, e presieduta da un docente universitario, in modo da garantire omogeneità di giudizio su tutto il territorio nazionale. Ai componenti della commissione non sono riconosciuti compensi, indennità o gettoni di presenza.
11. Il ministro vigilante, previa verifica, su indicazione del consiglio nazionale dell’ordine o collegio, dell’idoneità dei corsi organizzati a norma del comma 9 sul territorio nazionale, dichiara la data a decorrere dalla quale la disposizione di cui al medesimo comma è applicabile al tirocinio.
12. Il consiglio dell’ordine o collegio presso il quale è compiuto il tirocinio rilascia il relativo certificato. Il certificato perde efficacia decorsi cinque anni senza che segua il superamento dell’esame di Stato quando previsto.Quando il certificato perde efficacia il competente consiglio territoriale provvede alla cancellazione del soggetto dal registro dei praticanti di cui al comma 2.
13. Le regioni, nell’ambito delle potestà a esse attribuite dall’articolo 117 della Costituzione, possono disciplinare l’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di tirocinioprofessionale.
14. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai tirocini iniziati dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo quanto già previsto dall’articolo 9, comma 6, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
Art. 7
(Formazione continua)
1. Al fine di garantire la qualità ed efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse dell’utente e della collettività, e per conseguire l’obiettivo dello sviluppo professionale, ogni professionista ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale secondo quanto previsto dal presente articolo. La violazione dell’obbligo di cui al periodo precedente costituisce illecito disciplinare.
2. I corsi di formazione possono essere organizzati, ai fini del comma 1, oltre che da ordini e collegi, anche da associazioni di iscritti agli albi e da altri soggetti, autorizzati dai consigli nazionali degli ordini o collegi. Quando deliberano sulla domanda di autorizzazione di cui al periodo precedente, i consigli nazionali trasmettono motivata proposta di delibera al ministro vigilante al fine di acquisire il parere vincolante dello stesso.
3. Il consiglio nazionale dell’ordine o collegio disciplina con regolamento, da emanarsi, previo parere favorevole del ministro vigilante, entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto:
a) le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti e per la gestione e l’organizzazione dell’attività di aggiornamento a cura degli ordini o collegi territoriali, delle associazioni professionali e dei soggetti autorizzati;
b) i requisiti minimi, uniformi su tutto il territorio nazionale, dei corsi di aggiornamento;
c) il valore del credito formativo professionale quale unità di misura della formazione continua.
4. Con apposite convenzioni stipulate tra i consigli nazionali e le università possono essere stabilite regole comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi professionali e universitari. Con appositi regolamenti comuni, da approvarsi previo parere favorevole dei ministri vigilanti, i consigli nazionali possono individuare crediti formativi professionali interdisciplinari e stabilire il loro valore.
5. L’attività di formazione, quando è svolta dagli ordini e collegi, può realizzarsi anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti.
6. Le regioni, nell’ambito delle potestà a esse attribuite dall’articolo 117 della Costituzione, possono disciplinare l’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale.
7. Resta ferma la normativa vigente sull’educazione continua in medicina (ECM).
Art. 8
(Disposizioni sul procedimento disciplinare delle professioni regolamentate diverse da quelle sanitarie)
1. Presso i consigli dell’ordine o collegio territoriali sono istituiti consigli di disciplina territoriali cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari riguardanti gli iscritti all’albo.
2. I consigli di disciplina territoriali di cui al comma 1 sono composti da un numero di consiglieri pari a quello dei consiglieri che, secondo i vigenti ordinamenti professionali, svolgono funzioni disciplinarinei consigli dell’ordine o collegio territoriali presso cui sono istituiti. I collegi di disciplina, nei consigli di disciplina territoriali con più di tre componenti, sono comunque composti da tre consiglieri e sono presieduti dal componente con maggiore anzianità d’iscrizione all’albo o, quando vi siano componenti non iscritti all’albo, dal componente con maggiore anzianità anagrafica.
3. Ferma l’incompatibilità tra la carica di consigliere dell’ordine o collegio territoriale e la carica di consigliere del corrispondente consiglio di disciplina territoriale, i consiglieri componenti dei consigli di disciplina territoriali sono nominati dal presidente del tribunale nel cui circondario hanno sede, tra i soggetti indicati in un elenco di nominativi proposti dai corrispondenti consigli dell’ordine o collegio. L’elenco di cui al periodo che precede è composto da un numero di nominativi pari al doppio del numero dei consiglieri che il presidente del tribunale è chiamato a designare. I criteri in base ai quali èeffettuata la proposta dei consigli dell’ordine o collegio e la designazione da parte del presidente del tribunale, sono individuati con regolamento adottato, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, dai consigli nazionali dell’ordine o collegio, previo parere vincolante del ministro vigilante.
4. Le funzioni di presidente del consiglio di disciplina territoriale sono svolte dal componente con maggiore anzianità d’iscrizione all’albo o, quando vi siano componenti non iscritti all’albo, dal componente con maggiore anzianità anagrafica. Le funzioni di segretario sono svolte dal componente con minore anzianità d’iscrizione all’albo o, quando vi siano componenti non iscritti all’albo, dal componente con minore anzianità anagrafica.
5. All’immediata sostituzione dei componenti che siano venuti meno a causa di decesso, dimissioni o altra ragione, si provvede applicando le disposizioni del comma 3, in quanto compatibili.
6. I consigli di disciplina territoriale restano in carica per il medesimo periodo dei consigli dell’ordine o collegio territoriale.
7. Presso i consigli nazionali dell’ordine o collegio che decidono in via amministrativa sulle questioni disciplinari, sono istituiti consigli di disciplina nazionali cui sono affidati i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari assegnate alla competenza dei medesimi consigli nazionali anche secondo le norme antecedenti all’entrata in vigore del presente decreto.
8. I consiglieri dei consigli nazionali dell’ordine o collegio che esercitano funzioni disciplinari non possono esercitare funzioni amministrative. Per la ripartizione delle funzioni disciplinari ed amministrative tra i consiglieri, in applicazione di quanto disposto al periodo che precede, i consigli nazionali dell’ordine o collegio adottano regolamenti attuativi, entro novanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, previo parere favorevole del ministro vigilante.
9. Le funzioni di presidente del consiglio di disciplina nazionale di cui ai commi 7 e 8 sono svolte dal componente con maggiore anzianità d’iscrizione all’albo. Le funzioni di segretario sono svolte dal componente con minore anzianità d’iscrizione all’albo.
10. Fino all’insediamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali di cui ai commi precedenti, le funzioni disciplinari restano interamente regolate dalle disposizioni vigenti.
11. Restano ferme le altre disposizioni in materia di procedimento disciplinare delle professioni regolamentate, e i riferimenti ai consigli dell’ordine o collegio si intendono riferiti, in quanto applicabili, ai consigli di disciplina.
12. Il ministro vigilante può procedere al commissariamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali per gravi e ripetuti atti di violazione della legge, ovvero in ogni caso in cui non sono in grado di funzionare regolarmente. Il commissario nominato provvede, su disposizioni del ministro vigilante, a quanto necessario ad assicurare lo svolgimento delle funzioni dell’organo fino al successivo mandato, con facoltà di nomina di componenti che lo coadiuvano nell’esercizio delle funzioni predette.
13. Alle professioni sanitarie continua ad applicarsi la disciplina vigente.
14. Restano altresì ferme le disposizioni vigenti in materia disciplinare concernenti la professione di notaio.
CAPO II
DISPOSIZIONI CONCERNENTI GLI AVVOCATI
Art. 9
(Domicilio professionale)
1. L’avvocato deve avere un domicilio professionale nell’ambito del circondario di competenza territoriale dell’ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.
Art. 10
(Disposizioni speciali sul tirocinio forense per l’accesso)
1. Fermo in particolare quanto disposto dall’articolo 6, commi 3 e 4, il tirocinio può essere svolto presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico o di ente privato autorizzato dal ministro della giustizia o presso un ufficio giudiziario, per non più di dodici mesi.
2. Il tirocinio deve in ogni caso essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico o di un ente privato autorizzato dal ministro della giustizia.
3. Fermo quanto previsto dal comma 2, il diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del tirocinio per l’accesso alla professione di avvocato per il periodo di un anno.
4. Il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio. Il consiglio dell’ordine autorizza il trasferimento, valutati i motivi che lo giustificano, e rilascia al praticante un certificato attestante il periodo di tirocinio che risulta regolarmente compiuto.
5. In attuazione del presente decreto, l’attività di praticantato presso gli uffici giudiziari è disciplinata con regolamento del ministro della giustizia da adottarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentiti gli organi di autogoverno delle magistrature e il consiglio nazionale forense. I praticanti presso gli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio, e ad essi si applica l’articolo 15 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell’ufficio giudiziario redige una relazione sull’attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa al consiglio dell’ordine competente. Ai soggetti previsti dal presente comma non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. Fino all’emanazione del decreto di cui al primo periodo, continua ad applicarsi, al riguardo, la disciplina del praticantato vigente al momento di entrata in vigore del presente decreto.
6. Il praticante avvocato è ammesso a sostenere l’esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. Quando il tirocinio è stato svolto per uguali periodi sotto la vigilanza di più consigli dell’ordine aventi sede in distretti diversi, la sede di esame è determinata in base al luogo di svolgimento del primo periodo di tirocinio.
CAPO III
DISPOSIZIONI CONCERNENTI I NOTAI
Art. 11
(Accesso alla professione notarile)
1. Possono ottenere la nomina a notaio tutti i cittadini italiani e i cittadini dell’Unione Europea che siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 5 della legge 16 febbraio 1913 n. 89, compreso il superamento del concorso notarile, fermo il diritto dei cittadini dell’Unione Europea che, in difetto del possesso dei requisiti di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 5 della legge 16 febbraio 1913 n. 89, abbiano superato il concorso notarile al quale abbiano avuto accesso a seguito di riconoscimento del titolo professionale di notaio conseguito in altro Stato membro dell’Unione Europea.
2. Il diploma di specializzazione, conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica per l’accesso alla professione di notaio per il periodo di un anno.
CAPO IV
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Art. 12
(Disposizione temporale)
1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano dal giorno successivo alla data di entrata in vigore dello stesso.
2. Sono abrogate tutte le disposizioni regolamentari e legislative incompatibili con le previsioni di cui al presente decreto, fermo quanto previsto dall’articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, e successive modificazioni, e fatto salvo quanto previsto da disposizioni attuative di direttive di settore emanate dall’Unione europea.
Art. 13
(Invarianza finanziaria)
1. Dall’attuazione del presente provvedimento non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. I soggetti pubblici interessati operano nell’ambito delle risorse disponibili agli scopi a legislazione vigente.
Art. 14
(Entrata in vigore)
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Il Ministro della giustizia
Il Presidente della Repubblica
Visto, il Guardasigilli
E questa è la relazione tecnica completa:
Relazione illustrativa sul Decreto del Presidente della Repubblica recante “Riforma degli ordinamenti professionali in attuazione dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148”.
1. Quadro normativo – L’intervento normativo di riforma degli ordinamenti professionali trova fondamento in un contesto di legislazione primaria modificatosi in un breve arco temporale, nell’ambito del quale si sono succedute le seguenti disposizioni:
– l’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, norma con la quale sono stati fissati principi ai quali devono necessariamente conformarsi tutte le professioni regolamentate;
– l’articolo 10 della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)”, che, in materia di ‘Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti’, ha modificato l’articolo 3, comma 5, alinea, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, introducendo lo strumento normativo attraverso il quale effettuare la riforma degli ordinamenti professionali, individuato nel regolamento di delegificazione di cui all’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400; è stato altresì previsto, dalla stessa disposizione, che le norme vigenti sugli ordinamenti siano abrogate con effetto dall’entrata in vigore del regolamento governativo;
– l’articolo 33 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, con cui sono stati regolati (introducendo un comma 5-bis, di seguito al comma 5 dell’articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138) i tempi di attuazione della normativa secondaria di delegificazione, stabilendo che le leggi professionali sarebbero state abrogate ‘in ogni caso’ dalla data del 13 agosto 2012, ovvero, solo se anteriore, dalla data di adozione del regolamento; con la stessa norma l’effetto abrogante è stato limitato alle sole disposizioni in contrasto con i principi formulati dall’articolo 3, comma 5, lettere da a) a g) del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, che li aveva introdotti; con il medesimo articolo 33 si è previsto che il Governo raccolga, entro il 31.12.2012, in un testo unico da emanare ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400, le disposizioni da considerarsi in vigore a seguito dell’avvenuta riforma (è stato così introdotto il comma 5-ter, di seguito al comma 5-bis dell’articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138);
– l’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, con il quale: è stato integralmente abrogato il sistema delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico; sono stabilite le modalità di pattuizione del compenso per le prestazioni professionali e fissati obblighi informativi in favore del cliente, con la previsione di un preventivo di massima; è stata prevista in diciotto mesi la durata massima del tirocinio per l’accesso alle professioni e stabilita la possibilità che i primi sei mesi di tirocinio possano essere svolti in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea; è stato modificato l’articolo 3, comma 5, nelle parti incompatibili con le nuove disposizioni immediatamente precettive.
2. Principi di delegificazione – Individuata nei regolamenti di delegificazione la modalità normativa attraverso cui provvedere alla voluta liberalizzazione delle professioni, in un più ampio contesto di norme finalizzate all’eliminazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche, i principi cui conformare l’attività normativa secondaria, a seguito delle modificazioni nel tempo succedutesi e per effetto della rilegificazione di alcune materie, sono i seguenti:
a) l’accesso alla professione deve essere libero e fondato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista; il numero chiuso, su base territoriale, è consentito solo per particolari ragioni di interesse pubblico (come ad esempio la tutela della salute umana), ma alcuna limitazione può fondarsi su discriminazioni dirette o indirette basate sulla nazionalità, ovvero sulla ubicazione della sede della società professionale;
b) il tirocinio per l’accesso deve avere (per disposizione di norma primaria) durata non superiore ai diciotto mesi e deve garantire l’effettivo svolgimento dell’attività formativa ed il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione;
c) la formazione continua permanente è obbligatoria ed è sanzionata disciplinarmente la violazione di tale obbligo;
d) l’assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale è obbligatoria e di essa deve essere data notizia al cliente;
e) la pubblicità informativa deve essere consentita con ogni mezzo e può anche avere ad oggetto, oltre all’attività professionale esercitata, i titoli e le specializzazioni del professionista, l’organizzazione dello studio ed i compensi praticati;
f) la funzione disciplinare deve essere affidata ad organi diversi da quelli aventi funzioni amministrative; allo scopo è prevista l’incompatibilità della carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei consigli di disciplina territoriali e nazionali.
Non costituisce principio di delegificazione né quindi lacuna normativa la mancata previsione della facoltà “per le professioni che esercitano attività similari di accorparsi su base volontaria” come previsto dall’art. 3, comma 5, alinea, del decreto legge 138/2011 come modificato dall’art. 9 del decreto legge 1/2012: il profilo è stato rilevato nei pareri parlamentari ma non dal Consiglio di Stato, e sul punto va rilevato che la facoltà prevista dalla norma primaria è affermata al di fuori quindi dei principi di delegificazione enucleati nella medesima disposizione (lettere da a) ad f). La norma, peraltro, non dà alcuna indicazione sui limiti e modalità del previsto accorpamento, rimesso alla necessaria modifica degli ordinamenti coinvolti. Inutile sarebbe stato riproporre il principio nel DPR.
3. Compatibilità con il sistema costituzionale – La compatibilità con il sistema costituzionale delle fonti dello strumento attuativo dei principi di delegificazione sopra esposti deve essere valutato tenendo conto, da un lato, della materia trattata (professioni) e, dall’altro, dei limiti che la legge assegna ai regolamenti di delegificazione (materie non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione).
Sotto il primo profilo, va rilevato che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione individua, tra le materie di legislazione concorrente, le professioni, cosicché si pone in astratto il problema della competenza ad emanare regolamenti (anche di delegificazione), considerato che la potestà regolamentare spetta alle Regioni in materie diverse da quelle di legislazione esclusiva (articolo 117, comma 6, Cost.).
Il problema della legittimità dell’attività normativa di delegificazione, in materia di professioni, va valutato avuto riguardo al più ampio contesto sistematico in cui si colloca la normativa che ha introdotto i principi di liberalizzazione enunciati. Le norme del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, sono ispirate dall’esigenza di incentivare lo sviluppo economico, da attuarsi mediante la piena tutela della concorrenza tra imprese. A tal fine viene dettata una normativa, che, complessivamente ispirata al principio della libertà d’impresa, realizza l’abrogazione delle indirette restrizioni all’accesso ed all’esercizio delle professioni e delle attività economiche.
La materia della professioni viene dunque presa in esame, nel più ampio quadro delle attività che costituiscono esplicazione dell’autonomia economica privata, quale settore, la cui liberalizzazione mira indirettamente allatutela della concorrenza, espressamente rimessa alla legislazione esclusiva dello Stato dalla lettera e) del secondo comma dell’articolo 117 Cost. La lettura della normativa in questine, in chiave di garanzia della libera concorrenza e del mercato aperto, è favorita dalla pacifica qualificazione delle attività delle libere professioni quali servizi (articolo 57, par. 2, lett. d), TFUE), la cui prestazione non può essere soggetta a restrizione alcuna (articolo 56 TFUE).
Va da ultimo osservato sul punto che la disciplina sulle professioni ha, per taluni aspetti, un suo carattere necessariamente unitario. In tal caso, la competenza concorrente delle Regioni è destinata a lasciare il passo al solo intervento statale (il principio è stato affermato dalla Corte costituzione in relazione alla individuazione di nuove figure professionali, che non può essere rimessa alla normativa regionale: v. C. cost. n. 153/2006 e n. 57/2007). La medesima esigenza di unitarietà della disciplina può essere senz’altro avvertita per le materie (accesso, tirocinio, formazione continua, assicurazione dai rischi professionali, disciplinare, pubblicità commerciale)rimesse alla delegificazione, trattandosi con evidenza di profili ordinamentali che non hanno uno specifico collegamento con la realtà regionale (da cui la Corte costituzionale fa derivare la natura concorrente) e che impongono piuttosto una uniforme regolamentazione sul piano nazionale.
Il secondo profilo di compatibilità costituzionale dei regolamenti di delegificazione attiene al previsto limite della riserva assoluta di legge.
L’alinea del comma 5 dell’articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, premette espressamente, prima di dare mandato al Governo per la riforma degli ordinamenti, secondo i principi enunciati, la salvezzadell’esame di Stato di cui all’articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l’accesso alle professioni. Ne deriva pertanto che i regolamenti di delegificazione non investono la riforma dell’accesso sotto il profilo della eliminazione o modificazione dell’esame di Stato.
Altro aspetto, non suscettibile di costituire oggetto di delegificazione, deve essere considerato quello relativo alla istituzione degli organi di disciplina nei limiti così specificati.
La lettera f) dell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, muovendo dal presupposto di rimuovere un ostacolo ad un adeguato accesso alle professioni, stabilisce l’istituzione di organi locali e nazionali “diversi da quelli aventi funzioni amministrative”, ai quali affidare “l’istruzione e la decisione” delle questioni disciplinari”, e prevede una ragione di incompatibilità tra la carica di consigliere dell’ordine e quella di membro dei costituendi consigli di disciplina. La previsione richiamata si rivolge, in effetti, in modo del tutto indifferenziato, ad ogni consiglio locale e nazionale di ciascuna professione considerata, escludendo le sole professioni sanitarie.
La norma primaria detta dunque un criterio di delegificazione che non sembra tener conto della natura della competenza disciplinare di quegli ordini professionali per i quali le funzioni in materia disciplinare sono previste dal legislatore alla stregua di una vera e propria competenza giurisdizionale (è il caso, a titolo di esempio, degli architetti, degli avvocati, dei chimici, dei geometri, degli ingegneri, dei periti industriali). E’ noto che le funzioni giudiziarie dei consigli nazionali sono ritenute compatibili con la Costituzione per la conservazione delle giurisdizioni speciali esistenti al 1° gennaio 1948 (VI disp. trans. e fin Cost.: il termine previsto per la revisione delle giurisdizioni speciali non è considerato perentorio da Corte cost. n. 284/1986).
La costituzione prevede che la materia della giurisdizione non possa venir disciplinata se non ad opera della legge ordinaria (l’articolo 108 della Carta dispone: “Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni altra magistratura sono stabilite con legge”). Si tratta di una tipica ipotesi di riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, con la conseguenza che non può ritenersi che la previsione di legge abbia abilitato il Governo a regolamentare anche le funzioni giurisdizionali dei Consigli dell’ordine nazionali, dovendosi concludere che il regolamento sia sprovvisto, a riguardo, di ogni potestà d’intervento. Corollario di tale assunto è che la lettera f) dell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, può riferirsi in effetti ai soli procedimenti disciplinari rimessi alla competenza di consigli che decidono in via amministrativa (come nel caso dei commercialisti ed esperti contabili: cfr. in motivazione, Cass. n. 30785 del 2011).
4. Tecnica dell’intervento normativo e struttura del testo – Il decreto che si illustra è destinato a riformare, nei limiti dei principi indicati dalla legge, tutte le professioni regolamentate siano quindi esse esercitate da professionisti iscritti in ordini che da quelli organizzati in collegi. I riferimenti ai soli ‘ordini professionali’ contenuti nell’articolo 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, devono considerarsi estensibili alle professioni organizzate per ‘collegi professionali’, trattandosi di distinzione meramente terminologica idonea solo in via tendenziale a distinguere quelle professioni per le quali è richiesto per l’iscrizione all’albo un titolo di studio non inferiore alla laurea (ordini) da quelle per le quali è sufficiente un diploma di scuola secondaria superiore (collegi).
L’intervento normativo non opera mediante la tecnica della novellazione delle attuali fonti normative vigenti sugli ordinamenti professionali, ma si realizza attraverso disposizioni di carattere generale destinate ad incidere su ogni singolo ordinamento, determinando l’abrogazione delle norme ivi contenute interpretativamente incompatibili.
Ne deriva una struttura dell’articolato, unico per tutte le professioni, ripartito in quattro Capi, il primo dei quali reca disposizioni generali, mentre gli ulteriori capi contengono alcune necessarie disposizioni specifiche relative a singole categorie professionali.
5. Contenuto del decreto – Il Capo I (articoli 1-8) si apre con una disposizione contenente la definizione di ‘professione regolamentata’ e di ‘professionista’ (articolo 1).
La professione regolamentata è definita come l’attività, o l’insieme delle attività, riservate o meno, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini o collegi, allorché l’iscrizione è subordinata al possesso diqualifiche professionali o all’accertamento di specifiche professionalità. Seguendo una specifica indicazione del Consiglio di Stato, si è escluso, nella versione definitiva del regolamento, che l’applicazione delle disposizioni regolamentari riguardi anche soggetti inseriti in qualsiasi albo, registro o elenco tenuti da amministrazioni o enti pubblici, così interpretando, in senso restrittivo, il dato normativo primario che riferisce la riforma alle “professioni regolamentate”. Con la modifica apportata il testo si conforma ad analoga osservazione avanzata dalle Commissioni parlamentari.
A tali professioni regolamentate si applicano le disposizioni del decreto di riforma, salve le deroghe contenute nella legge di delegificazione per le professioni sanitarie sia in tema di formazione continua permanente che in materia di istituzione di organi disciplinari.
La norma definitoria fa espresso riferimento all’ipotesi di riserva dell’attività, limitandola ai soli casi espressamente previsti dalla legge. Nei restanti casi, pertanto, nessuna attività sarà riservata.
L’articolo 2, in tema di accesso ed esercizio dell’attività professionale, premettendo che resta necessariamente ferma la disciplina dell’esame di Stato, quale prevista in attuazione dei principi di cui all’articolo 33 della Costituzione, conferma i principi contenuti nella norma di delegificazione sulla libertà di accesso alle professioni regolamentate e sul correlativo divieto di limitazione alla iscrizione agli albi professionali se non in forza di previsioni inerenti il possesso o il riconoscimento dei titoli previsti per l’esercizio della professione. Limitazioni possono essere consentite dalla presenza di condanne penali o disciplinari irrevocabili.
Nella stessa disposizione è correlativamente affermato il principio, contenuto nella norma primaria, della libertà dell’esercizio delle professione, fondato su autonomia di giudizio intellettuale e tecnico.
Il comma 3 dell’articolo 2 sviluppa il divieto, contenuto nella legge di delegificazione, di introdurre limitazioni del numero di persone abilitate ad esercitare la professione su tutto o parte del territorio dello Stato (salve deroghe fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute). Recependo le osservazioni contenute nel parere del Consiglio di Stato sul punto, è stato eliminato l’ultimo periodo del comma 3 sulla salvezza delle limitazioni derivanti dall’attività svolta alle dipendenze di enti o di altri professionisti, mentre rimane l’espressa salvezza dell’applicazione delle disposizioni sull’esercizio delle funzioni notarili e il richiamo generale alle limitazioni derivanti da norme primarie connesse alla tutela della salute.
Il comma 4 dell’articolo 2 ribadisce il divieto di limitazioni discriminatorie all’accesso e all’esercizio della professione, fondate sulla nazionalità del professionista o sulla sede legale della società.
Nel contesto appena descritto risulta evidente che è radicalmente estraneo alla delega il tema della disciplina delle modalità e dei criteri di efficienza degli esami di Stato ovvero dei concorsi come quello notarile (in ciò rispondendo a una diversa sollecitazione dei pareri parlamentari peraltro solo in punto di concorso notarile).
Parimenti estraneo è il tema – rilevato nei pareri parlamentari solo con riferimento agli assistenti sociali – della valenza e riforma dei titoli di istruzione legittimanti all’accesso.
L’articolo 3 afferma il principio della pubblicità degli albi professionali territoriali, il cui insieme forma l’albo unico nazionale degli iscritti, che è tenuto dal consiglio nazionale di ciascun ordine o collegio. Gli albi territoriali, i cui dati è previsto che siano trasmessi telematicamente, ai fini dell’aggiornamento, all’albo unico nazionale, svolgono funzione di raccolta dei dati anagrafici degli iscritti e recano le annotazioni dei provvedimenti disciplinari adottati nei loro confronti. Può essere chiarito, in relazione a specifico rilievo delle Commissioni parlamentari, che l’albo unico nazionale previsto dall’articolo 3, comma 2, del regolamento, è costituito quale insieme degli albi unici territoriali di ogni professione, senza che questi siano privati in alcun modo della loro valenza istituzionale autonoma. L’aggregazione degli albi territoriali stabilita dalla norma è infatti essenzialmente funzionale a una migliore organizzazione e gestione delle informazioni contenute negli albi, intesi come banche dati. In sede di consultazioni non vi è stato nessun rilievo da parte degli ordini.
L’articolo 4 dà attuazione all’articolo 3, comma 5, lettera g), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, disciplinando, in chiave di incentivazione della concorrenza, la pubblicità informativa dell’attività professionale.Nel concetto di pubblicità informativa, previsto dalla norma di delega, deve comprendersi, logicamente, la pubblicità comparativa in termini assoluti e non quella comparativa in senso stretto, tradotta con raffronti relativi ad altri specifici professionisti. Tale pubblicità è ammessa con ogni mezzo e può concernere anche le specializzazioni ed i titoli posseduti dal professionista, l’organizzazione dello studio professionale, nel senso della sua composizione, nonché i compensi richiesti per le prestazioni.
Le informazioni rese mediante pubblicità devono essere strettamente funzionali all’oggetto, in tal modo assorbendosi ogni necessità di riferimenti ambigui alla dignità e al decoro professionale, devono rispettare criteri di veridicità e correttezza e non possono essere equivoche, ingannevoli o denigratorie, né, logicamente, devono violare l’obbligo del segreto professionale. Di contrario avviso rispetto alle indicazioni del Consiglio diStato, è stata mantenuta la connotazione della pubblicità come “funzionale all’oggetto”, perché ritenuta utile ad evitare che la pubblicità possa assumere caratteri di eccentrica estraneità ai contenutiprofessionali stessi.
Il comma 3 stabilisce che la pubblicità scorretta ed ingannevole integra per il professionista che l’ha adottata illecito disciplinare. Si è integrata la norma, come suggerito dal Consiglio di Stato, specificando che la medesima condotta integra una violazione delle disposizioni contenute nel codice del consumo e concernenti la pubblicità ingannevole, fermo restando che si tratta di norme primarie estranee al potere modificativo di delegificazione.
L’articolo 5 definisce i confini dell’obbligo, cui è tenuto il professionista, di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività. Viene precisato che il rischio da coprire con l’assicurazione obbligatoria prevista dalla norma primaria di delegificazione è quello relativo ai danni derivanti al “cliente”, con ciò facendo riferimento alla instaurazione di un rapporto di clientela, nel senso tradizionale della prestazione di un servizio professionale diretto al cliente che lo commette. Ne deriva la necessità di non introdurre alcuna eccezione all’obbligo assicurativo previsto dalla norma primaria, lasciando all’interprete di valutare quando vi sia o no un rapporto di clientela, tale da imporre l’obbligo di assicurazione. Più in generale, la specificazione dell’oggetto dell’assicurazione, riferito alla copertura per i danni derivanti al cliente, consente di escludere, con riferimento alle diverse modalità di configurazione del rapporto professionista-cliente, che l’obbligo in questione possa riguardare il professionista che operi nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente.
Sempre in relazione all’oggetto dell’assicurazione professionale, è specificato che essa riguarda anche i danni connessi alla custodia di documenti o valori ricevuti dal cliente. L’obbligo assicurativo è affiancato da un obbligo informativo del cliente circa gli estremi della polizza, il massimale e le variazioni eventuali delle condizioni.
Come ritenuto necessario dal Consiglio di Stato – sulla scorta di una interpretazione della norma primaria letterale e più restrittiva di quella declinata nel testo sottoposto in prima lettura – viene previsto che le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate dai consigli degli ordini o collegi, ovvero dagli enti previdenziali dei professionisti.
Non si è ritenuto possibile accogliere l’istanza espressa nei pareri delle Commissioni parlamentari volta a introdurre un obbligo delle compagnie di assicurazione alla stipula delle polizze, stabilendo le relative condizioni generali. La norma primaria non conferisce infatti alcuna delega esplicita sul punto, che, ove considerata, comporterebbe una deroga ai principi di libertà di iniziativa economica. Né vi sono dunque i principi generali primari in riferimento ai quali declinare l’ipotetico obbligo a contrarre (Cons. di Stato, 28 febbraio 2002, n. 1120). Resta ferma l’applicazione della normativa generale in tema di concorrenza, per cui l’eventuale pratica di condizioni contrattuali di cartello da parte delle compagnie assicuratrici costituirebbe un illecito, con conseguente applicabilità della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette e antitrust.
Neppure può trovare spazio la modifica, auspicata dalle Commissioni parlamentari, al sistema di esazione dei contributi di quei professionisti al fine di garantire la tenuta del sistema vigente (nell’ordinamento notarile) della polizza collettiva di assicurazione. Si tratta di una materia del tutto estranea ai criteri di delegificazione.
Rispetto allo schema approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, all’articolo 5, è aggiunto il comma 3, per il quale l’obbligo di assicurazione acquista efficacia decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto, al fine di consentire la negoziazione delle convenzioni collettive previste nella medesima disposizione, così da permetterne un’implementazione coerente e completa. Viene in tal modo assentita una condizione posta dalle Commissioni parlamentari, che espressamente riferiscono di aver fatto proprie istanze emerse nelle audizioni delle categorie professionali interessate, in cui è stata sottolineata la necessità operativa di un differimento dell’efficacia della norma in esame.
L’articolo 6 disciplina la materia del tirocinio per l’accesso alla professione di cui all’articolo 3, comma 5, lettera c), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138. La materia è stata in parte rilegificata da un duplice intervento: l’articolo 33, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 che ha ridotto da tre anni a diciotto mesi la durata massima del tirocinio; l’articolo 9, comma 6, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, che ha ribadito, con norma immediatamente precettiva, la durata massima del tirocinio per l’accesso alle professioni; ha stabilito la possibilità che, per i primi sei mesi, il tirocinio possa essere svolto in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, sulla base di convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; ha escluso la pregressa previsione di un compenso per il tirocinante.
Il residuo ambito di delegificazione riguarda pertanto l’aspetto relativo all’effettivo svolgimento dell’attività formativa del tirocinante e l’adeguamento costante della stessa, in funzione della garanzia di serietà e adeguatezza del servizio professionale da prestare.
Entro questi limiti, l’articolo 6:
– ribadisce l’obbligatorietà del tirocinio ove previsto dai singoli ordinamenti professionali e la sua durata massima di diciotto mesi; la previsione della obbligatorietà del tirocinio per i soli ordinamenti professionali che lo prevedano e la precisazione della durata massima del periodo come stabilito dalla norma primaria costituiscono integrazioni del testo operate sulla scorta delle indicazioni del Consiglio di Stato. Il parere reso dallo stesso organo indica la necessità di introdurre una norma transitoria sulla applicabilità del periodo di 18 mesi anche ai tirocini in corso. Non si ritiene, tuttavia, di dover integrare la normativa regolamentare giacché, con circolare del Ministro della Giustizia del 4 luglio 2012 – prot. n. 93833, è stata data interpretazione, nel senso indicato dal Consiglio di Stato, all’art. 9 del decreto legge n. 1 del 2012, come convertito, normativa primaria non suscettibile di essere incisa, neppure in chiave interpretativa, dal regolamento di delegificazione. Le Commissioni parlamentari hanno rilevato, sulla durata del tirocinio, che la previsione di 18 mesi, anche per le professioni che prevedevano un periodo inferiore, potrebbelimitare l’autonomia delle università e dei consigli nazionali nella definizione di specifiche intese volte ad anticipare il tirocinio, come previsto dalla lettera c) del richiamato articolo 3, comma 5,del decreto legge n.138 del 2011, come convertito, e dal comma 6 dell’art. 9 del decreto legge n. 1 del 2012. Il rilievo è tuttavia superato dal fatto che nulla vieta agli ordini o collegi convenzioni con l’università. Quanto in particolare alla possibilità che il tirocinio si svolga anticipatamente, in concomitanza con il corso di laurea, il presente decreto, riprendendo la successiva rilegificazione di cui all’art. 9 del decreto legge n. 1 del 2012, permette l’opzione: il profilo è quindi stato nuovamente normato in via primaria, senza possibilità di modifiche in questa sede. Ancora in sede di parere parlamentare, con riguardo ai dottori commercialisti ed esperti contabili, le Commissioni reputano necessario introdurre una norma che consenta ai tirocinanti di completare il periodo di tirocinio anche per l’iscrizione nel registro dei revisori legali, prendendo tuttavia atto che la riduzione generale della durata del tirocinio a non oltre 18 mesi non possa riguardare la durata del tirocinio previsto, in sede comunitaria, per l’iscrizione nel predetto registro dei revisori; la richiesta delle Commissioni parlamentari è tuttavia inaccoglibile poiché l’iscrizione al registro dei revisori è materia estranea alla delegificazione: essa non è relativa a una professione regolamentata ma a un servizio professionale (erogabile da più tipologie di professionisti), vincolata da normativa comunitaria e oggetto, per norma primaria speciale (d.lgs. n. 39 del 2010), attuativa di specifica normativa comunitaria (direttiva 2006/43/CE2), di separata regolamentazione (rimessa al Ministero dell’economia, salvo che per la regolamentazione dell’esame di Stato rimesso a regolamento del Ministro della giustizia di concerto con quello dell’economia e delle finanze).L’esigenza prospettata non è stata infatti rilevata dal Consiglio di Stato;
– definisce il tirocinio come addestramento a contenuto teorico-pratico finalizzato a conseguire le capacità necessarie per l’esercizio della professione e la gestione organizzativa dello studio professionale;
– pone l’iscrizione nel registro dei praticanti (tenuto presso l’ordine o il collegio) territoriale quale condizione per lo svolgimento del tirocinio;
– stabilisce, al fine di rendere effettiva ed adeguata la formazione, il requisito di cinque anni di anzianità per il professionista affidatario ed il tetto di tre praticanti contemporaneamente; viene fatta salva la possibilità di deroga per autorizzazione del consiglio dell’ordine o collegio competente, cui è rimessa, come suggerito dal Consiglio di Stato, la potestà regolamentare di stabilire i criteri concernenti l’attività professionale del richiedente e l’organizzazione della stessa che consentano di derogare al tetto di tre praticanti come stabilito in via ordinaria; la potestà regolamentare dei consigli nazionali è bilanciata dall’intervento nel procedimento del ministro vigilante, chiamato a esprimere un parere vincolante sulla selezione dei predetti criteri. Sul punto non è stata ritenuta fondata l’osservazione delle Commissioni parlamentari per cui non corrisponderebbe ai principi di delegificazione la disposizione del comma 3 dell’articolo 6, nella parte in cui dispone che il professionista affidatario debba avere almeno cinque anni di anzianità e non invece un’anzianità inferiore con conseguente maggiore flessibilità organizzativa. La norma costituisce inveroattuazione del principio di effettività e serietà dell’attività di formazione teorico-pratica ed è pertanto il frutto di un legittimo esercizio della discrezionalità (latamente) legislativa, conforme alla delega, come peraltro confermato dal parere del Consiglio di Stato che nulla rileva in proposito;
– introduce la possibilità che il tirocinio possa essere svolto, per un periodo non superiore a sei mesi, presso enti o professionisti di altri Paesi (non vi sono, come ipotizzato dal Consiglio di Stato, ostacoli derivanti dalla normativa comunitaria a regolare il tirocinio professionale limitando a un certo tempo il periodo extra nazionale riconoscibile ai fini dell’assolvimento dell’obbligo in questione,relativo infatti all’accesso alla professione nazionale e non al riconoscimento del correlativo titolo ai fini dell’esercizio extra UE) e ribadisce la possibilità che, per i primi sei mesi, il tirocinio possa essere svolto in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea, sulla base di convenzioni tra i consigli nazionali competenti ed il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonché, per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, di convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini o collegi e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione (come da successiva rilegificazione ex art. 9 comma 6 del decreto legge n. 1 del 2012 come convertito);
– stabilisce che, in funzione dell’effettività e serietà del tirocinio, esso possa essere svolto anche in costanza di rapporto di pubblico impiego o di rapporto di lavoro subordinato privato, purché detti rapporti di lavoro siano regolati, quanto alla modalità di svolgimento e agli orari previsti, in modo da consentire l’effettivo svolgimento del tirocinio. Seguendo le osservazioni del Consiglio di Stato, è stata eliminata l’incompatibilità della pratica del tirocinio con il solo rapporto di pubblico impiego ed è stata completamente equiparata la disciplina in questione con il rapporto di lavoro subordinato privato;
– esclude la configurabilità dell’attività di tirocinio come rapporto di lavoro subordinato, salva la corresponsione di un equo indennizzo previsto dall’articolo 9, comma 4, ultimo periodo, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1;
– ancora in funzione della serietà della preparazione, prevede che l’interruzione del tirocinio per oltre tre mesi, senza giustificato motivo, determini l’inefficacia del periodo già svolto ai fini dell’adempimento dell’obbligo formativo; di contro, una interruzione giustificata è consentita per una durata massima di nove mesi, salva la necessità per il tirocinante di completare l’intero periodo previsto (viene disatteso l’invito del Consiglio di Stato a rendere meno gravosa la previsione, eventualmente prevedendo puramente e semplicemente un periodo di interruzione più ampio; il parere della Sezione consultiva non sembra infatti coerente con le scelte di fondo del regolamento sull’attuazione del principio dell’effettivo svolgimento dell’attività formativa affermato dalla norma primaria);
– impone la soggezione dei praticanti alle norme deontologiche dei professionisti abilitati ed al medesimo regime disciplinare;
– individua, quali modalità di tirocinio, la pratica svolta presso lo studio professionale e la frequenza con profitto, facoltativa ed alternativa, di specifici corsi di formazione professionale organizzati dagli ordini o dai collegi, nonché da associazioni o enti autorizzati dai consigli nazionali degli ordini o collegi con intervento ministro vigilante, nel procedimento deliberativo consiliare, volto a vincolare gli ordini o collegi anche nel senso dell’accoglimento dell’autorizzazione che si intenda negare (è quindi specificamente previsto, con evidente finalità di tutela verso comportamenti anticoncorrenziali da parte degli organi dotati di potere autorizzatorio, che i consigli nazionali trasmettano motivata proposta di delibera, anche di diniego dell’autorizzazione, al ministro vigilante al fine di assumere un parere vincolante sul punto e, quindi, eventualmente inducendo al rilascio di una autorizzazione che si intende negare. Sul punto resta ferma, diversamente da quanto ritenuto dalle Commissioni parlamentari, la possibilità che i corsi di formazione siano organizzati da soggetti diversi anche dalle associazioni professionali; va rilevato che la legge di delegificazione non solo consente, ma, in chiave di liberalizzazione, impone che i corsi possano essere organizzati da soggetti estranei agli ordini e collegi ovvero alle associazioni dei relativi iscritti); correlativamente i consigli nazionali degli ordini o collegi, previo parere favorevole del ministro vigilante, emanano un regolamento attuativo concernente: a) le modalità e le condizioni per l’istituzione dei corsi di formazione (con l’obiettivo espresso di garantire libertà e pluralismo dell’offerta formativa); b) i contenuti formativi essenziali; c) la durata minima dei corsi con carico didattico minimo non inferiore a duecento ore; d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione, nonché per la verifica intermedia e finale del profitto, affidate ad una commissione di professionisti o docenti universitari in modo da garantire omogeneità di giudizio sull’intero territorio nazionale (anche per tale regolamento si è ritenuto in coerenza di mantenere un intervento del ministro vigilante nell’iter di adozione del regolamento con evidente finalità di tutela della libera concorrenza); ancora al ministro vigilante è rimessa, verificata l’idoneità dei corsi di formazione e la dichiarazione della data a decorrere dalla quale il corso di formazione diviene operativo ai fini del tirociniocon al finalità di rendere omogenea l’applicazione della disciplina sul punto. In risposta a una sollecitazione dei pareri parlamentari va osservato che in sede di regolamenti consiliari attuativi, partecipati dal ministro vigilante, potrà prevedersi la separazione soggettiva tra organizzatori dei corsi e soggetti destinati a valutarne l’esito per i partecipanti;
– attribuisce al consiglio dell’ordine o del collegio i poteri di certificazione sullo svolgimento del tirocinio;
– stabilisce, infine, l’inefficacia del periodo di formazione svolto nel caso in cui l’esame di Stato non venga superato nei cinque anni successivi alla chiusura del periodo;
– chiarisce che le disposizioni in parola si applicano ai tirocini iniziati dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo quanto previsto, in particolare sulla durata, dall’articolo 9,comma 6, del decreto legge n. 1 del 2012.
L’articolo 7 regola la formazione continua permanente con la finalità di garantire qualità ed efficienza della prestazione professionale e sviluppo della professione, anche a tutela degli interessi degli utenti e della collettività cui è rivolto il servizio professionale. E’ quindi sancito, per il singolo professionista, l’obbligo di formazione mediante un continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale. La violazione dell’obbligo è previsto che abbia rilievo disciplinare.
I corsi di formazione possono essere organizzati dagli ordini o dai collegi, nonché da associazioni o enti autorizzati dai consigli nazionali degli ordini o collegi con intervento ministro vigilante, nel procedimento deliberativo consiliare, volto a vincolare gli ordini o collegi anche nel senso dell’accoglimento dell’autorizzazione che si intenda negare. E’ quindi specificamente previsto, con evidente finalità di tutela verso comportamenti anticoncorrenziali da parte degli organi dotati di potere autorizzatorio, che i consigli nazionali trasmettano motivata proposta di delibera, anche di diniego dell’autorizzazione, al ministro vigilante al fine di assumere un parere vincolante sul punto e, quindi, eventualmente inducendo al rilascio di una autorizzazione che si intende negare.
Ad un regolamento, emanato dai consigli nazionali degli ordini o collegi, previo parere favorevole del ministro vigilante, è rimessa: a) la determinazione delle modalità e condizioni per l’assolvimento dell’obbligodi aggiornamento da parte degli iscritti; b) la individuazione dei requisiti minimi dei corsi di aggiornamento; c) la fissazione del valore del credito formativo professionale, quale unità di misura della formazione continua (anche per tale regolamento, parallelamente a quanto previsto per i corsi di formazione nel tirocinio, si è ritenuto di mantenere un intervento del ministro vigilante nell’iter di adozione del regolamento, con evidente finalità di tutela della libera concorrenza).
In sede di parere parlamentare, si è rilevata l’opportunità di integrare la disposizione del comma 3, sulla possibilità di stipulare convenzioni tra consigli nazionali degli ordini e università, prevedendo che l’attività di gestione e organizzazione dell’aggiornamento professionale possa avvenire anche a cura degli ordini o collegi territoriali e dei sindacati di categoria delle professioni regolamentate, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti. Invero, la norma richiamata del comma 3 non esclude la possibilità che i corsi per la formazione continua siano organizzati anche a cura degli ordini o collegi territoriali, e dei sindacati di categoria delle professioni regolamentate, cosicché non si rinvengono ragioni per una modificazione del testo sul punto.
Ad apposite convenzioni tra consigli nazionali competenti e università è rimessa la determinazione delle regole comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi (professionali ed universitari). Parimenti è regolato il riconoscimento reciproco tra diversi ordini o collegi professionali (crediti interprofessionali).
E’ riconosciuta la competenza regionale per la disciplina dell’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale. La norma, diversamente da quanto ritenuto in sede diCommissioni parlamentari, che prospettano un profilo di illegittimità costituzionale per violazione dell’articolo 117, comma 6, della Costituzione, si limita a ribadire che le Regioni (che hanno potestà concorrente in materia di professioni) possono prevedere l’attribuzione di fondi per i corsi di formazione.
La norma sull’incompatibilità nell’esercizio dell’attività professionale, contenuta nell’articolo 8 dello schema di regolamento approvato in sede preliminare, ancorché meramente confermativa di principicontenuti nella norma primaria, è stata ritenuta estranea, per materia, alla delega, dalle Commissioni parlamentari, ed è adesivamente stata espunta dall’articolato.
L’articolo 8 (rinumerato, come i seguenti, per effetto della soppressione dell’articolo che precede) è dedicato alla riforma del sistema disciplinare delle professioni, la cui attuazione incontra:
a) i limiti costituzionali esposti al punto 3 della presente relazione (la natura riservata in via assoluta alla legge delle norme relative ad ogni magistratura, secondo l’articolo 108 della Costituzione, non abilita il Governo a regolamentare anche le funzioni giurisdizionali dei consigli nazionali, dovendosi ritenere che il regolamento sia sprovvisto, a riguardo, di ogni potestà d’intervento, limitato ai soli procedimenti disciplinari rimessi alla competenza di consigli che decidono in via amministrativa);
b) i limiti derivanti dalla legge di delegificazione, che non prevede in alcun modo la possibilità di riformare il sistema elettorale dei consigli, non consente di modificare la competenza territoriale degli stessi(eventualmente ampliandola per le funzioni disciplinari), non prevede di modellare la composizione dei collegi di disciplina attraverso la nomina di componenti esterni, attesa la mancata possibilità di modifica del sistema rappresentativo vigente per la composizione degli attuali organi di disciplina;
c) le limitazioni insite nella formulazione dell’articolo articolo 3, comma 5, lettera f), del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, che individua, quale criterio di delegificazione in materia disciplinare, l’incompatibilità della carica di consigliere dell’ordine territoriale o di consigliere nazionale con quella di membro dei costituendi consigli di disciplina nazionali e territoriali; l’aggettivazione (nazionali e territoriali) data ai consigli di disciplina impone una lettura della norma nel senso della individuazione di una incompatibilità ‘interna’ e non allargata a qualsivoglia carica di consigliere dell’ordine anche ad altro livello territoriale; se la norma avesse voluto estendere l’incompatibilità alla carica di consigliere del collegio di disciplina avrebbe dovuto esplicitarlo, ovvero avrebbe dovuto essere diversamente formulata con l’esclusione della predettaaggettivazione.
Sul testo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, il Consiglio di Stato ha formulato le seguenti osservazioni, ampiamente riprese e condivise dalle Commissioni parlamentari: i) per gliorgani di disciplina aventi natura giurisdizionale, si sostiene che l’incompatibilità tra la carica di consigliere dell’ordine (o collegio) e quella di membro dei consigli di disciplina, voluta dalla normaprimaria sia a livello territoriale che nazionale, possa essere attuata prevedendo che chi esercita funzioni disciplinari non può esercitare funzioni amministrative e rimettendo l’attuazione del principioall’autonomia organizzativa dei vari consigli, che potrebbero strutturarsi in sezioni; ii) per gli organi di disciplina territoriali ed i consigli nazionali che decidono in via amministrativa, viene considerataingiustificata l’esclusione dell’opzione di prevedere negli organi disciplinari anche soggetti terzi (come attualmente in altri ordinamenti: Commissione amministrativa regionale di disciplina per notai,presieduta da un magistrato nominato dal presidente della Corte d’appello del distretto); viene proposta la nomina, da parte consiglio dell’ordine (o collegio), dei componenti dell’organo disciplinarecomposto (o presieduto) anche da terzi; iii) viene criticato il criterio di individuazione dei componenti del consiglio nazionale di disciplina (non giurisdizionale) mediante il criterio dei non eletti, in quantooggetto di valutazione elettorale negativa o comunque insufficiente ai fini della rappresentatività.
L’opzione di cui al punto i) avanzata dal Consiglio di Stato va valutata tenendo conto dei limiti entro cui può operare la delegificazione. In particolare va richiamato il noto e discusso limite dellariserva assoluta di legge di cui all’art. 108, primo comma, della Costituzione, per gli organi di disciplina aventi natura giurisdizionale. Può essere ulteriormente sottolineato che alcuna norma secondariapuò incidere, anche indirettamente, sugli organi con funzioni giurisdizionali, quali quelli disciplinari nazionali di alcuni ordini (come il CNF). Deve infine richiamarsi il tenore letterale della norma primariache parla di organi di disciplina differenti e di incompatibilità della carica, e non solo, come indicato dal Consiglio di Stato, di funzioni differenziate e, appunto, di distinzione tra funzioni. Appare dunque scelta congrua e più aderente al dettato costituzionale quella di escludere del tutto dalla disciplina regolamentare gli organi di disciplina aventi natura giurisdizionale.
Sulle osservazioni di cui al punto ii), con sostanziale adesione alle indicazioni del Consiglio di Stato, nei consigli di disciplina nazionale che decidono in via amministrativa viene prevista la formazione di autonomi organi, con conseguente divaricazione delle competenze disciplinari e amministrative, lasciando la concreta disciplina attuativa della gestione delle dette, distinte, competenze, ai poteri autorganizzatori dei consigli nazionali.
Sulle osservazioni di cui al punto iii), e segnatamente sulla partecipazione di terzi nei consigli di disciplina territoriali, dev’essere rilevata un’oggettiva difficoltà concreta di impegnare, tipicamente, il presidente del tribunale (come possibile soggetto terzo componente dell’organo in questione), per ogni professione, nella composizione di tutti gli organi di disciplina costituiti nel circondario del suo ufficio. Il profilo della terzietà (riflesso della incompatibilità di funzioni e di cariche voluto dalla norma) può essere parimenti garantito mediante la designazione dei componenti del collegio di disciplina, questa sì assegnata, attingendo da una rosa di candidati proposta dal consiglio dell’ordine o collegio, al presidente del tribunale, figura idonea ad escludere che la designazione da parte del consiglio locale possa subire condizionamenti per effetto della prossimità agli iscritti, profilo questo che consente di differenziare la disciplina a livello nazionale. Ai consigli nazionali è attribuito il compito di emanare un regolamento, partecipato dal ministro vigilante, per l’individuazione dei criteri in base ai quali viene effettuata la scelta della rosa dei candidati proposta al presidente del tribunale per la nomina.
Le Commissioni parlamentari, in aggiunta, ritengono sia opportuno estendere anche alle società di professionisti di cui alla legge n. 183 del 2011 l’applicazione delle stesse disposizioni, in quanto compatibili, in materia disciplinare per gli iscritti. L’indicazione delle Commissioni non può essere seguita poiché il regolamento non costituisce la sede destinata alla regolazione della materia disciplinare, in via primaria, regolata dall’art. 10 della legge n. 183 del 2011, che prevede a sua volta l’adozione di un autonomo e specifico decreto interministeriale per la normativa di dettaglio delle società tra professionisti.
In attuazione della legge di delegificazione e secondo i criteri di scelta sopra illustrati, sono istituiti, per tutte le professioni diverse da quella sanitaria, i consigli di disciplina territoriali presso i consigli dell’ordine o collegio territoriale. Ciò consente di mantenere ferma e far coincidere la competenza territoriale (sugli iscritti) dei due organi, amministrativo e disciplinare, sdoppiati per effetto della riforma.
I consigli di disciplina sono costituiti da un numero di consiglieri pari a quello oggi previsto dai singoli ordinamenti professionali per lo svolgimento delle medesime funzioni. Nei consigli di disciplina territoriali con più di tre componenti si formano, per l’istruttoria e la decisone, collegi composti da tre membri, di cui quello con maggiore anzianità d’iscrizione all’albo svolge la funzione di presidente, svolta invece dal componente con maggiore anzianità anagrafica qualora vi siano componenti non iscritti.
La composizione dei consigli di disciplina territoriali, tenuto conto dei limiti imposti dalla legge di delegificazione e sopra esposti, è effettuata mediante nomina del presidente del tribunale nel cui circondario hanno sede i medesimi consigli, attingendo da una rosa di nominativi predisposta e proposta dal locale consiglio dell’ordine. L’elenco predetto è composto da un numero di nominabili pari al doppio del numero di consiglieri che devono essere nominati.
Con regolamento adottato dai consigli nazionali degli ordini o collegi, previo parere vincolante del ministro vigilante, sono individuati i criteri in base ai quali i consigli avanzano la proposta e il presidente del tribunale effettua la scelta.
Sono stabilite regole minime di funzionamento dei consigli di disciplina ove il presidente di detto organo è individuato nel componente con maggiore anzianità di iscrizione all’albo, ovvero dal componente con maggiore anzianità anagrafica qualora vi siano componenti non iscritti, mentre il più giovane è chiamato a svolgere le funzioni di segretario; la durata dei consigli di disciplina è la stessa dei consigli dell’ordine o collegio.
I commi da 7 a 11 regolano la costituzione, composizione e competenza dei consigli di disciplina nazionali. La costituzione di tali organi è prevista, come rilevato sopra, per le sole professioni dove i consigli nazionali degli ordini o collegi decidono le questioni disciplinari in via amministrativa. Le competenze in materia disciplinare dei nuovi organi sono le stesse precedentemente assegnate ai consigli nazionali.
E’ affermata la regola della separazione delle competenze disciplinari da quelle amministrative, che devono essere svolte da consiglieri diversi, secondo una articolazione del consiglio nazionale dell’ordine o collegio che rifletta detta separazione e da stabilirsi mediante regolamento interno, adottato su parere vincolante del ministro che ha la vigilanza sull’ordine o collegio.
Sul piano del funzionamento dell’organo disciplinare, viene previsto che le funzioni di presidente siano svolte dal componente con maggiore anzianità d’iscrizione all’albo, mentre l’iscritto più giovane svolge le funzioni di segretario.
Il ministro vigilante procede, secondo i principi generali, al commissariamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali per gravi e ripetuti atti di violazione di legge, ovvero nel caso in cui non siano in condizioni di funzionare regolarmente.
Il nuovo sistema disciplinare, che prevede che restino comunque ferme le disposizioni in materia di procedimento come regolate dai singoli ordinamenti, diviene operativo con l’insediamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali neocostituiti.
La disposizione illustrata si chiude con l’espressa previsione che, per le professioni sanitarie e per quella di notaio continua ad applicarsi la disciplina vigente. Per le prime, la norma ripropone il limite imposto dalla legge di delegificazione; per la professione di notaio, va considerata la peculiarità del sistema disciplinare vigente, che garantisce di per sé la separazione con la funzione amministrativa (oltre che ampia terzietà), in cui consiste l’essenza della di riforma sul punto: come può riscontrarsi, infatti, tutta la disciplina degli artt. 148 e seguenti della legge notarile (16 febbraio 1913 n. 89), quale modificata dal decreto legislativo 1° agosto 2006 n. 149, è conforme ai principi di delega.
Il Capo II (articoli 9 e 10) reca specifiche disposizioni concernenti gli avvocati.
L’articolo 9 stabilisce che l’avvocato deve avere un domicilio professionale nell’ambito del circondario di competenza territoriale dell’ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale.
L’articolo 10, fermo in particolare quanto disposto dall’articolo 6, commi 3 e 4, stabilisce che:
i) il tirocinio forense può essere svolto presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico ovvero privato quando autorizzato dal Ministro della giustizia vigilante o presso un ufficio giudiziario, per non più di dodici mesi (le Commissioni parlamentari hanno richiesto di esplicitare che il tirocinio presso gli uffici legali di enti privati autorizzati dal Ministro della giustizia possa avvenire solo se tali enti sono dotati di un autonomo ufficio legale in cui esercitano iscritti all’albo professionale muniti di diritto di rappresentanza esterna e processuale. La prevista autorizzazione del Ministro della giustizia appare di per sé idonea a garantire l’adeguatezza dello studio presso cui può essere svolto il tirocinio. Tale rilievo risulta idoneo a superare l’osservazione parlamentare);
ii) il tirocinio deve in ogni caso essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato o presso l’ufficio legale di un ente pubblico ovvero privato quando autorizzato dal Ministro della giustizia vigilante;
iii) il diploma di specializzazione, conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica per l’accesso alla professioni di avvocato per il periodo di un anno.
iv) il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l’ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio. Il consiglio dell’ordine autorizza il trasferimento, valutati i motivi che lo giustificano, e rilascia al praticante un certificato attestante il periodo di tirocinio che risulta regolarmente compiuto;
v) l’attività di praticantato presso gli uffici giudiziari è disciplinata da specifico decreto, da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dal ministro della giustizia, sentiti gli organi di autogoverno delle magistrature ed il consiglio nazionale forense (si è qui accolto uno specifico suggerimento del Consiglio di Stato di non limitarsi al parere del Consiglio Superiore della Magistratura ordinaria). I praticanti presso gli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio, e ad essi si applica l’articolo 15 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell’ufficio giudiziario redige una relazione sull’attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa al consiglio dell’ordine competente. Ai soggetti previsti dal presente comma non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. Fino all’emanazione del decreto di cui al primo periodo, continua ad applicarsi la disciplina del praticantato vigente al momento di entrata in vigore del decreto qui illustrato: si tratterà, naturalmente, della sola parte di disciplina del concernente questo aspetto del praticantato (si pensi all’articolo 37, commi 4 e 5, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, cui si ispira in parte la norma qui descritta);
vi) il praticante avvocato è ammesso a sostenere l’esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. Nell’ipotesi in cui il tirocinio sia stato svolto per uguali periodi sotto la vigilanza di più consigli dell’ordine aventi sede in distretti diversi, la sede di esame è determinata in base al luogo di svolgimento del primo periodo di tirocinio.
Il Capo III (articolo 11) contiene disposizioni riguardanti la professione di notaio.
L’articolo 11 disciplina l’accesso all’esercizio della professione.
Muovendo dall’art. 5 della legge n. 89 del 1913 si specifica che possono ottenere la nomina a notaio tutti i cittadini italiani e i cittadini dell’Unione Europea che siano in possesso dei requisiti di cui all’articolo 5 della legge 16 febbraio 1913 n. 89, compreso il superamento del concorso notarile, fermo il diritto dei cittadini dell’Unione Europea che, in difetto del possesso dei requisiti di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 5 della medesimalegge n. 89 del 1913, abbiano superato il concorso notarile al quale abbiano avuto accesso a seguito di riconoscimento del titolo professionale di notaio conseguito in altro Stato membro dell’Unione Europea.
Si prevede infine – simmetricamente a quanto normato per il praticantato forense e riprendendo l’attuale disciplina – che il diploma di specializzazione, conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, è valutato ai fini del compimento del periodo di pratica per l’accesso alla professione di notaio per il periodo di un anno. La normativa primaria richiamata in via ricognitiva non può peraltro essere derogata per la sola professione notarile come prospettato in sede di parere parlamentare.
Il regolamento si applica dal giorno successivo alla data di sua entrata in vigore, individuato nel giorno successivo a quello di sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, e abroga tutte le disposizioni regolamentari e legislative con esso incompatibili, fermo quanto previsto dall’articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, e successive modificazioni (articolo 12).
Il regolamento incide unicamente su attività non soggette a finanziamenti pubblici nella parte regolata, e prevede l’intervento dell’amministrazione centrale (ministri vigilanti) in relazione a competenze già assegnate ed alle quali può farsi fronte con le dotazioni di risorse disponibili. Esso non determina pertanto riflessi finanziari negativi a carico del bilancio dello Stato (articolo 13).
Bravo il nostro Presidente! Complimenti!| Mi sorge un dubbio: fermo restando che l’esercizio della professione di giornalista non comporta l’obbligo di assicurazione, ma quando il giornalista opera come ufficio stampa? In questo caso non viene stabilito un rapporto tra professionista e cliente? Occorre chiarire questo aspetto perchè è legittimo che un giornalista si prende carico di un ufficio stampa. E’ possibile aspetto del suo lavoro.
Salvatore Spoto