Il giornalismo? Ha poco appeal per stress, retribuzione e possibilità di lavoro: lo certificano pure negli USA!

Una interessante lettura è stata di recente proposta dal sito della LSDI (Libertà di Stampa Diritto d’Informazione) che ha citato una valutazione del sito specializzato americano Career Cast sui lavori migliori da intraprendere: tra i parametri analizzati per questa speciale classifica ci sono il grado di stress, l’andamento del mercato del lavoro, la curva media dei salari, le condizioni ambientali.

Ebbene, il giornalista è al 196° posto (in realtà il sito distingue il cronista, che è in quella posizione e il giornalista radiotelevisivo che non sta molto meglio, 191°). Il tutto in quella che si considera la “patria” del “giornalismo libero”.

Al primo posto c’è l’ingegnere informatico, seguito dal contabile e dal manager delle risorse umane. Il cronista sta tra il cameriere (che pur guadagnando di meno è 195°) e l’operaio di piattaforma petrolifera (197° e guadagna poco di meno).

Quali sono gli elementi che concorrono a questa poco lusinghiera posizione? Career Cast è impietoso:

 

entrambi i lavori un tempo sembravano affascinanti, ma il livello di stress, il calo delle opportunità lavorative e dei livelli di reddito li hanno resi due dei peggiori tipi di lavoro della lista

 

Insomma, anche una seria analisi comparativa dà ragione ai consigli che spesso dò a chi si vuole avvicinare a questa professione: “Trovati un lavoro serio”.

Cosa rimane del giornalismo? Certamente, come osserva Career Cast, il fascino della professione, che per molti è ancora molto attrattivo, ma ad un’analisi profonda di retribuzione ed opportunità lavorative ecco che il mestiere si svela per quello che è: un investimento molte volte “a perdere”. Se questo è vero per gli Stati Uniti, la patria delle opportunità e del “sogno americano” di migliorare con tenacia, studio e passione la propria vita, figurarsi quanto lo sia in Italia, dove il giornalismo – nella sua forma contrattualizzata e apportatrice di garanzie ed emolumenti – appare sempre più un “circolo chiuso”, nel quale difficilmente si riesce ad entrare. Fuori dal “circolo” c’è la precarietà o la libera professione, che non garantiscono la sussistenza.

La ricerca di Career Cast non dà ovviamente risposte, fotografa la realtà: ma è proprio la realtà quella che tutti dovremmo ben avere in mente quando si ragiona di contratti e di retribuzioni. Spesso, infatti, sembra che chi si siede ai tavoli delle trattative sindacali non abbia chiaro il concetto di cosa sia diventato il giornalismo. Probabilmente, non ha presente i numeri (che avevo già presentato in un mio post di gennaio) che dimostrano come è profondamente mutato il panorama dei giornalisti italiani, le cui esigenze sono profondamente diverse da quelle che si registravano 15 anni fa.

I numeri, per fortuna, non sono né di destra né di sinistra, né possono essere interpretati: la speranza è che qualcuno, almeno, li legga e ne tragga le conseguenze!

 

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