Abolito il divieto di cumulo: un altro campanello d’allarme per i giovani giornalisti?
Il mio “grido” a Firenze, quello sui pensionati che continuano imperterriti a collaborare con le testate giornalistiche “rubando” di fatto lo spazio ai giovani colleghi, ma soprattutto “inquinando” il mercato, in quanto, con una pensione sicura in tasca ogni mese, non si fanno problemi a lavorare per pochi euro o addirittura gratis (ovviamente, questa non è una situazione generalizzata, ma molto molto comune), da qualche giorno si è fatto più impellente: da quando, cioè, è stata pronunciata una sentenza della Corte di Cassazione (la 01098/2011) che abolisce il divieto di cumulo per le pensioni Inpgi.
In sostanza, ricordando sempre che la Cassazione pronuncia sentenze su casi concreti, un pensionato Inpgi potrà tranquillamente sommare alla sua pensione (normalmente molto abbondante, come dimostrato dai dati che ho citato nel mio post di qualche giorno fa) anche dei redditi da collaborazione giornalistica, senza timore che ciò comporti la sospensione dell’assegno previdenziale.
Una vera e propria minaccia per tutti i precari, i freelance, i collaboratori che si troveranno a combattere un’altra battaglia contro “vecchie volpi” di redazione, pronte a tornare (da collaboratori esterni, ovviamente) ai loro posti originari, sottraendo spazi preziosi non solo per nuovi giornalisti, ma anche per un salutare ricambio generazionale che possa “svecchiare” la categoria.
Nulla d’illegale, per carità! Tuttavia, colleghi che hanno fatto la storia del nostro mestiere e che ricevono il giusto compenso per una vita dedicata al giornalismo, dovrebbero assumere la funzione di “padri nobili” e non di “patrigni”, mettendosi in competizione con i più giovani, sottraendo loro la possibilità di crescere nella professione e diminuendo le già scarse disponibilità del settore.
Al di là della personale cortesia o dell’educato ritiro in un meritato riposo, che anche diversi colleghi pensionati praticano con grande dignità (ed anzi non lesinando consigli ed indicazioni ai più giovani), occorre che il lavoro giornalistico dei più deboli sia tutelato al meglio dalla legge, evitando così l’arbitrio del “gioco al ribasso”, del quale i colleghi pensionati sono i primi responsabili (insieme – e alla pari – a coloro che lavorano “per la gloria” e “per vedere il proprio nome scritto sul giornale”): ecco perché è essenziale la rapida approvazione del ddl sull’equo compenso, come richiesto a gran voce nella manifestazione romana di ieri “4 euro al pezzo e sotto scorta”. Una buona notizia su questo fronte è venuta proprio nei giorni scorsi: la commissione Cultura della Camera ha approvato all’unanimità, su proposta del relatore, on. Enzo Carra, di passare in sede legislativa il progetto di legge. “Un altro decisivo passo avanti per una sia pur minima garanzia per i precari che lavorano nel settore dell’informazione”, secondo il commento dello stesso relatore.
Con l’equo compenso, non ci saranno più differenze tra colleghi e non si potrà più “giocare al ribasso”, pena l’esclusione della testata dalla recezione dei contributi pubblici: una norma di civiltà e di giustizia perché lì dove non arrivano cortesia e responsabilità personali, almeno la legge ponga un baluardo a difesa dei più deboli ed indifesi.
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I colleghi pubblicisti hanno ragione a protestare perchè la presenza dei pensionati non li facilità. Ma bisogna tenere conto anche della realtà della gran massa di professionisti prepensionati per lo sfoltimento delle redazioni richiesto dagli editori. In base alle disposizioni per i prepensionamenti, molti colleghi sono costretti all’esodo senza aver raggiunto il minimo pensionistico. Da qui il patto, a titolo umanitario, di poter scrivere almeno un pezzo a settimana. C’è poi un altro aspetto. La cassa integrazione per i giornalisti, viene pagata dall’INPGI, vale a dire dagli stessi giornalisti, la cui pensione non è retributiva ma contributiva vale a dire è rimasta quella di dieci e più anni addietro, senza neppure un adeguamento al costo della vita. Se poi ci mettiamo che i giornalisti professionisti, non solo per contratto ma anche per la legge, possono solo svolgere attività giornalistiche, è chiaro che quelli costretti ad uscire, debbono pur campare. La Corte di Cassazione ha tenuto conto anche di questa situazione. Diverso è il discorso per i colleghi pubblicisti, che possono avere un’altra attività principale. Io sono dell’avviso dell’assurdità di mantenere due elenchi, quello dei giornalisti e l’altro dei pubblicisti: ci deve essere un solo elenco, quello dei giornalisti. Chi svolge attività giornalistica deve essere considerato tale e deve poter fare solo la professione del giornalista.