Carta di Firenze e dignità dei precari al “Premio Polidoro”
È stata una bella e significativa cerimonia, quella che si è svolta ieri mattina nell’auditorium della Carispaq a L’Aquila, scenografia ormai consueta per il “Premio Polidoro” che quest’anno ha compiuto dieci anni e che ha dedicato questa importante edizione del decennale alla “Carta di Firenze” e alla dignità del precariato giornalistico.
Per discuterne insieme con i vincitori del premio e i giornalisti abruzzesi sono giunti nel capoluogo il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, che da tempo si batte per la dignità dei precari dell’informazione, e il coordinatore del gruppo di lavoro dedicato al precariato del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Fabrizio Morviducci, tra i protagonisti della due giorni di Firenze.
Significativi sono stati anche gli interventi di saluto, che hanno preceduto la “tavola rotonda”, da me moderata, sulla Carta di Firenze.
Se il direttore generale della Carispaq, Vittorio Iannucci, ha sottolineato l’importanza e la funzione del giornalista nella società odierna, ed ancor di più in un mondo così interconnesso che ha bisogno di informazione di qualità fatta da giornalisti sereni anche dal punto di vista lavorativo, l’assessore ai Lavori Pubblici della Provincia, Guido Liris, ha esortato i presenti a coltivare sempre la passione e il sacrificio nel lavoro, specie nella professione giornalistica che comporta una grossa responsabilità poiché è “testimonianza dell’esistente”.
Più disincantato il segretario del Sindacato Giornalisti Abruzzesi, Lodovico Petrarca: “Lo scenario dell’informazione – ha affermato in un articolato intervento – è
profondamente cambiato. Oggi il sacrificio, il lavoro, l’impegno non pagano più come prima: i meccanismi di accesso alla professione sono cambiati e la bella stagione non c’è più. Questa Carta di Firenze è uno spiraglio di speranza per riuscire a realizzare quei principi etici per i quali non occorrerebbero neppure degli strumenti legislativi, tanto sono evidenti in sé. Non parliamo poi dell’equità della retribuzione: un tempo essa era il cardine della giurisprudenza, oggi invece perdiamo 90 cause su 100. Abbiamo bisogno di maggiori e nuovi strumenti legislativi per intervenire perché sui collaboratori ne siamo privi: pensate solo che gli editori non si sono neppure seduti al tavolo delle trattative fino a quando non abbiamo tolto dal contratto nuovo il riferimento ai precari”.
Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, ha poi riassunto le motivazioni di una scelta, quella di dedicare ai precari il “Premio Polidoro” 2011: “Senza i giovani non ci sarebbero il progresso e le nuove conquiste ed oggi sono loro i protagonisti del nostro lavoro, in cui la differenza tra garantiti e non garantiti è troppo accentuata. La Carta di Firenze può essere uno strumento deontologico che viene offerto a tutti i colleghi affinché cessi una situazione che in troppi passano sotto silenzio. L’edizione di quest’anno del Premio Polidoro, molto partecipata, dimostra che alla precarizzazione della professione, che è diventato fenomeno inarrestabile, non si risponde con una minore qualità del prodotto giornalistico, anzi l’esatto contrario: abbiamo avuto circa 60 partecipanti che hanno denotato il buon livello qualitativo dei giornalisti, specie giovani, con un’annotazione particolare per i colleghi dell’on-line che hanno dimostrato come si può fare ottimo giornalismo anche via Internet”.
Nel corso della tavola rotonda, poi, si sono sviluppati i temi della Carta di Firenze e Fabrizio Morviducci ha voluto iniziare il suo primo intervento con un ricordo molto toccante per i colleghi abruzzesi: “La Carta di Firenze è stata dedicata a Pierpaolo Faggiano, un collega che non ha retto alle difficoltà della vita precaria e si è tolto la vita, ma qui in Abruzzo non posso non ricordare il collega Paolo Antonilli, che ha aspettato inutilmente per venti anni un contratto a Il Centro fino alla sua prematura scomparsa”.
Poi ha proseguito: “Come ha ricordato il presidente Iacopino al termine della due giorni di Firenze, le righe più importanti della Carta sono le ultime due, quelle che prevedono il procedimento disciplinare per chi viola i principi sanciti in essa. Non è dunque dignitoso per un collega favorire lo sfruttamento di un suo pari: tutti i giornalisti, senza distinzione di ruolo, sono tenuti alla solidarietà e al rispetto reciproco”.
Perché l’Ordine ha posto come prioritaria l’esigenza di approvare la Carta di Firenze, ho chiesto a Iacopino.
“Era arrivato un momento – ha spiegato il presidente nazionale – in cui mi sono iniziato a vergognare di me quando agli esami professionali arrivavano colleghi di 40-50 anni ancora precari. Mi sono chiesto dov’ero stato fino ad allora e da cosa sono stato distratto. Non c’era un spiegazione razionale, purtroppo, ma ci siamo accorti di quanti mercanti esistano in questo mestiere, che godono di alcune complicità. È moralmente sostenibile che su questo punto gli organismi di categoria si dividano? Un direttore può accettare di pagare un collaboratore anche 50 centesimi a pezzo? Sarebbe da cacciare e farlo andare a spalare la neve così si renderebbe conto di cosa significa lavorare per vivere. Quand’è troppo, è troppo. Dico basta anche ai contributi pubblici ai giornali che sfruttano i collaboratori! Affrontiamo tutti insieme l’impopolarità per affermare un diritto sacrosanto: questa è una sfida su cui si misura la credibilità dell’Ordine professionale e del Sindacato, altrimenti i precari farebbero bene a prendere i forconi e a venire sotto i nostri portoni”.
La mia seconda domanda a Fabrizio Morviducci verteva sul rischio di contrapporre colleghi garantiti a colleghi non garantiti.
“Non è una contrapposizione – ha spiegato – perché questa Carta semplicemente mette l’accento sul fatto che finora il sistema si basa essenzialmente sui garantiti mentre si regge sui non garantiti. Con la Carta di Firenze abbiamo avviato una rivoluzione: ci saranno resistenze, alcune già venute fuori, ma ci sono anche moltissimi colleghi garantiti che ci chiedono di andare avanti su questa strada. Occorre capire che l’informazione è un servizio pubblico e la sua dignità e libertà è data dalla dignità e dalla libertà dei giornalisti”.
Ho chiesto poi a Iacopino se davvero la Carta di Firenze basti a garantire la dignità dei precari.
“Le norme – ha risposto – in realtà non dovrebbero neppure servire, se fossimo tutti persone perbene. La norma è una scelta obbligata, non piace a nessuno fare esibizioni muscolari, ma non si poteva fare altro di fronte a complicità evidenti tra redattori ed editori, che la maggior parte delle volte fanno i mercanti, usando i giornali per tutt’altri fini. Ci sono troppe complicità tra gli iscritti stessi all’Ordine, vanno scardinate e dobbiamo dare forza alle persone perbene di questa categoria. Il senso della necessità della Carta di Firenze può essere riassunta da una semplice domanda: Può essere mai libero un giornalista che per portare la ragazza in pizzeria deve scrivere 40 pezzi?”.
Le ultime due domande sono state uno stimolo a guardare al futuro.
“Questo – ha detto Morviducci – un lavoro che comporta grande passione, ma deve assolutamente cambiare l’approccio di molti: il giornalismo non è la firma sul giornale, questo lavoro è un trattamento economico dignitoso per tutto”.
“Credo che questo mestiere – ha chiosato Iacopino – continuerà ad affascinare migliaia di giovani perché il giornalismo è un virus per il quale non ancora è stato scoperto un vaccino. Sarà sempre più dura, meno contrattualizzato, ma ritengo che ci siano ancora buone opportunità, soprattutto sul web, che ha però bisogno di regole. Noi dobbiamo fare la nostra parte: i giornalisti devono diventare tutti di serie A con tanta formazione in più, perché l’esigenza di verità che dobbiamo onorare è un bisogno primario del Paese. Speravo che il Parlamento ci regalasse per Natale l’approvazione alla Camera della legge sull’equo compenso, ma l’accordo di tutte le forze politiche mi fa sperare in bene. La legge ci sarà e sarà fondamentale per fissare i parametri di un compenso equo per tutti”.
Poi è venuto il momento delle premiazioni.
Per la carta stampata un ex aequo.
Premiato per prima Nello Di Marcantonio con questa motivazione:
L’articolo dal titolo “Il lancianese amico di Steve Jobs”, apparso sul settimanale “La Domenica d’Abruzzo”, tratteggia le tappe esistenziali di un abruzzese di successo, Guerrino De Luca, oggi amministratore delegato della Logitech, la compagnia fondata da due abruzzesi e uno svizzero in California. Con efficaci tratti stilistici l’autore dell’articolo riesce a dare prospettiva all’intervista con il personaggio inserendolo nel quadro della rivoluzione tecnologica che lo stesso ha vissuto a fianco di uno dei maggiori protagonisti dell’epocale trasformazione degli strumenti della comunicazione, Steve Jobs.
Poi premio ad Oscar Buonamano:
L’articolo “Dall’Abruzzo al mondo. La cultura va vissuta fuori dalle mode”, pubblicato nella sezione Cultura del quotidiano “Il Centro”, traccia il ritratto di un grande artista abruzzese, Sandro Visca. L’autore usa la penna come il raschietto del restauratore e con maestria disvela particolari di grande valore giornalistico legati all’attività artistica del protagonista: dalla collaborazione con Burri che portò alla realizzazione dei fondali di scena dell’Avventura di un povero cristiano del Teatro Stabile dell’Aquila, all’atto di accusa contro l’apertura della strada per Campo Imperatore con l’uso dello strumento filmico.
Per la sezione tv premi a Francesca Rubeo e Gilberto Porretta di Atv7 con questa motivazione:
Il servizio “Blinisht, 18 anni di una missione”, andato in onda sull’emittente televisiva Atv7, descrive l’azione e l’opera di un sacerdote marsicano, don Antonio Sciarra, che nel corso di alcuni decenni, è riuscito a dare una prospettiva di vita e di speranza ad una delle popolazioni più povere dell’Albania. La parola e la macchina da presa si fondono per descrivere incisivamente l’intervento missionario sul tessuto sociale di quella tragica realtà che aveva strappato la dignità umana a migliaia di persone e in modo particolare a giovani donne avviate contro la loro volontà alla prostituzione, in Italia e in altri Paesi europei.
Per la sezione on line, il premio a Claudia Pajewski:
“Artificial Kid. Cronache rap dall’Aquila” è stato pubblicato sul sito XL, mensile del quotidiano “la Repubblica”. È un servizio giornalistico di genere musicale. Attraverso il reportage racconta lo stato delle cose nel centro storico dell’Aquila a più di due anni dal sisma, con una chiave particolare, quella del ciberpunk. Il reportage utilizza tutti i linguaggi disponibili, la scrittura, la fotografia e il video, al fine di trasmettere un messaggio nel modo più efficace possibile e di raggiungere il vasto pubblico della rete.
La nuova sezione del fotogiornalismo ha premiato Livia Ermini:
Il reportage fotografico sull’ospedale dell’Aquila a due anni dal terremoto è stato pubblicato sul sito Corriere della Sera.it. Le foto scattate di nascosto dall’autrice nelle sale operatorie abbandonate, nei corridoi ancora pieni di macerie, nelle stanze dove ammuffiscono le cartelle cliniche abbandonate e invecchiano i costosi macchinari sanitari, dimostrano inequivocabilmente che l’ospedale del capoluogo abruzzese non è molto diverso da come si presentava all’indomani del terremoto del 6 aprile 2009.
Il premio alla carriera è stato assegnato infine ad Amedeo Esposito, una vita nel quotidiano “Il Messaggero”, che ha ricordato a tutti che la vita del giornalista è fatta da poche vittorie e molte sconfitte, ma esse sono il sale della professione.
La chiusura è stata affidata alla vedova di Guido Polidoro, la signora Luigia, che ha auspicato la possibilità di far ripartire il mensile “AB”, l’ultima fatica del giornalista, e al fratello, padre Lorenzo Polidoro.