Elogio della poesia e dei poeti: la mia presentazione della silloge “Non avrò più un orologio” di Andrea Buccini
Ho avuto il piacere, questo pomeriggio, di presentare alla “Casa delle Monache Sant’Anna” di Miglianico la prima raccolta di poesie dell’amica Andrea Buccini, che ha composto una serie di liriche di grande intensità, raccolte sotto il titolo di “Non avrò più un orologio”. Avendo avuto, come d’abitudine, il testo da presentare in anticipo, ho pensato di compiere un esperimento all’interno del laboratorio di scrittura che ogni martedì tengo nella mia classe a tempo prolungato a Bucchianico, sottoponendo ai miei alunni i testi poetici di Andrea. Ne è uscita una lezione di interpretazione “al buio” che mi ha convinto di quello che ho sempre sostenuto, ossia come la poesia sia un linguaggio universale. In più, mi ha dato numerosi spunti per la presentazione di oggi.
Ecco quanto ho detto presentando il libro:
Siamo in un’epoca in cui la poesia non è certo merce rara, non perché ce ne sia troppa, ma solo perché purtroppo non è considerata più alla stregua di un’arte popolare, che parla al cuore di tutti, come è sempre stato per secoli. Quindi intervenire alla presentazione di una raccolta di poesie ha due sentimenti contrastanti: da un lato, è gioia perché c’è ancora chi crede in questa funzione popolare della poesia e ama dare voce non solo agli afflati del proprio cuore, ma anche e soprattutto essere la voce dei tanti che non vogliono o possono esprimere gli stessi sentimenti; dall’altro, è preoccupazione per la sempre minore “vena poetica” che la fredda ed arida realtà ci riserva.
Ho la fortuna di fare il mestiere più bello del mondo, l’insegnante, e tra gli obblighi del cosiddetto “programma” c’è anche la poesia, o meglio, il linguaggio poetico. A Bucchianico ho una fortuna ancora maggiore perché insegnando nella sezione a tempo prolungato, ho a disposizione due ore a settimana per un laboratorio di lingua italiana che dedico ai vari linguaggi del nostro idioma. E tra tutti, quello poetico, è il principale, quello che io più adoro, quello che ritengo sia il più vicino alla sensibilità dei ragazzi che, se stimolati con pazienza, rispondono molto meglio di quello che si creda in generale anche ad un linguaggio che hanno insegnato loro a definire come “astruso, difficile, lontano, incomprensibile”. La poesia.
Ebbene, ho voluto fare un esperimento in attesa di questa giornata di presentazione: ho distribuito a caso, senza dire nulla su chi l’avesse scritto, alcune delle poesie che Andrea Buccini ha incluso nella sua silloge che oggi presentiamo, chiedendo ai ragazzi di farne il commento, visto che in questo mese di scuola li ho “iniziati” all’interpretazione dei testi poetici, dal punto di vista tecnico, metrico, contenutistico, ma soprattutto emozionale.
Il risultato qual è stato? Dieci-quindici minuti di sconcerto. Di occhi sgranati, di timore, di incomprensione. “Troppo difficile, prof. Ma chi le ha scritte? Se non ci dice qualcosa dell’autore, come possiamo capirle?”. Ecco la tentazione, che i nostri ragazzi hanno preso da noi: il non saper pensare da soli, il credere che ci sia sempre un’autorità altra ed esterna a loro che è capace di giudicare qualcosa al posto loro. Con la poesia non è così.
Ma la poesia per questo sconcerta! E per questo fa paura!
Ma non c’è nulla di più necessario della poesia.
Lo hanno dimostrato i miei ragazzi stessi: dopo lo sconcerto, hanno iniziato a “scalare la montagna”. Lo hanno fatto dalla “parete più facile”: l’analisi metrica. Strofe, assonanze, consonanze, rime, figure retoriche. Hanno quasi scarnificato la poesia di Andrea. L’hanno passata al microscopio, ai raggi X. Per qualcuno questo è uccidere la poesia. E invece…
Invece, dopo averla analizzata per bene, hanno iniziato a riconoscerla, dopo averla sezionata, l’hanno iniziata a ricostruire e sono emersi i primi significati, le prime consonanze di pensiero, i primi “mi piace” e “non mi piace”, “sono d’accordo” e “non sono d’accordo”, “mi rispecchia” e “non è come credevo”.
Naturalmente stasera non vi dirò ciò che hanno detto della poesia di Andrea Buccini, casomai lo dirò a lei in privato, perché toccherà a voi fare questo stesso lavoro mettendovi di fronte ai versi del poeta.
Però mi è stato chiesto di darvi un filo rosso, un “filo di Arianna” per orientarvi in questa raccolta, un gomitolo per attraversare il labirinto dei significati della poesia. Lo farò, ma sarà un gomitolo molto personale. La sfortuna per i commentatori dei poeti viventi è che possono essere smentiti. Cosa che non capita con quelli che sono nei libri e per i quali la critica ufficiale ha già emesso i suoi verdetti e noi insegnanti siamo tranquilli nel proporne l’interpretazione “corretta”. Altro errore. Perché la poesia parla sempre, a tutti i tempi, a tutte le età, in diversi modi.
Non si può non iniziare dalla poesia che dà il titolo alla raccolta. O meglio, dall’immagine che il titolo evoca. Se l’autrice lo ha collocato come titolo, un motivo ci sarà, no?
Non avrò più un orologio. Ma il verso va letto tutto intero: Non avrò più un orologio, avrò tempo. Una evidente antitesi, anzi per i nostri tempi ipertecnologici un vero e proprio ossimoro. Tra l’altro lo hanno subito segnalato i miei alunni. Come è possibile avere tempo, o meglio più tempo, se non si ha un orologio?
Eh sì, abbiamo reso anche il tempo misurabile, fissato in quelle 24 ore che non perdono mai la loro seria fissità, neppure quando passiamo dall’ora solare all’ora legale e viceversa. Ora ci vogliono togliere anche quest’ultimo brandello di incertezza del tempo.
Il tempo, questo è un tema che attraversa la raccolta di Andrea, il tempo da riconquistare, che però è un tempo preciso, quello di un luogo preciso, quello della sua amata Argentina, quella che lei chiama casa, anche se vediamo che la casa di Andrea è qui in mezzo a noi. Non sempre quello che vediamo è ciò che realmente è. Sarebbe bene che ce lo ricordassimo più spesso. Anche per questo la poesia ci serve… per ricordare che i significati sono ben diversi dai significanti. Che le parole spesso celano, coprono, ammantano. Ma la poesia svela, anche se è fatta di parole.
La poesia svela, la poesia cela: come il riferimento, molto chiaro, ma ugualmente molto oscuro al 3 luglio, data che non può essere analizzata con Wikipedia. Vogliamo farlo lo stesso? Ormai internet ci consente anche di banalizzare le date, di cogliere strane connessioni tra di esse. Aprite la pagina “3 luglio” su Wikipedia e leggete i fatti notevoli accaduti in quella data, ne troverete di tutti i colori: dalla battaglia di Adrianopoli del 394, a quella di Sadowa del 1866, all’indipendenza dell’Algeria del 1962 per limitarci alle tre date che si studiano anche a scuola, oppure al giorno in cui è entrata in vigore in Spagna la legge sul matrimonio omosessuale, o in cui è uscito per la prima volta negli USA il film “Ritorno al futuro”. Ma Wikipedia ci informa che il 3 luglio sono nate 840 delle persone citate nell’enciclopedia e 320 altre sono morte in quel giorno.
Ma qual è il 3 luglio di Andrea Buccini? È in quel sorriso che cosparge i girasoli e che farà più male del freddo che brucia nel luglio argentino, visto che nell’emisfero australe è inverno. Una poesia chiave della raccolta.
Tra le poesie di Andrea si trovano dettagli incredibili, come le ore delle nuvole rosa, che tanto ha impegnato e affascinato i miei ragazzi, in una poesia di appena 4 versi, o quel fumo delle locomotive che appannavano le risate di due personaggi che appaiono distanti due binari (e non vi dico qui le interpretazioni romantiche e meno romantiche dei miei alunni! Che potenza di immagine!). Pioggia e fumo, stavolta in forma di vapore, che caratterizza la città muta che raccoglie a pezzi la poetessa.
E vogliamo parlare dell’amore? Cosa sarebbe la poesia senza l’amore? Forma incastonata tra il corpo e il desiderio e tocco gentile della libellula secondo Andrea, che con la poesia Strana la forma dell’amore ha scatenato un dibattito in classe senza precedenti, che non avevo messo in conto, tra chi vedeva nel rientro di cui parla la poesia un momento positivo di ritorno ad uno stato di tranquillità e chi invece ci vedeva un obbligatorio adeguarsi ad un restauro, che appare come parola non proprio adeguata a chiudere una poesia d’amore.
Ma la disperazione culla, nonostante le ferite feroci di un’altra poesia, in cui non ci si può che riconoscere in chi è sul divano inchiodato da un’assenza che appare spropositata per chi ama: tre minuti! Eppure Andrea stessa afferma che d’amore vi parlo … solo d’amore posso parlare … d’amore vi scrivo… l’amore che senza fede, crede. Un’eco dell’Inno alla Carità di San Paolo sembra risuonare mentre la poetessa ci affida un messaggio che è insieme antico e moderno, vecchio come il mondo ed attualissimo.
E poi, al centro della raccolta, o giù di lì, l’anatema, che va letto interamente:
Mi auguro
non ci sia un dio
che alla fine di questa vita
ci condanni
per non aver amato
Credo che questa breve poesia faccia da spartiacque alla raccolta e contemporaneamente ne è l’essenza stessa. Se Andrea non l’ha messa di proposito al centro di essa, probabilmente ci è finita per necessità quasi profetica. Senza amore non si hanno più bussole da orientare verso il verso delle tue traversie. Senza amore ci sono solo mediocrità e disincanto, pregiudizi, passamano ambiguo delle smancerie.
E quando l’amore ritorna, almeno in sogno, anch’esso è precario: un equilibrista tra il bottone madreperla della tua camicia e la sua asola. A parte che mi è servita per spiegare un termine ai miei alunni sconosciuto – asola – anche se è una comunissima realtà che nessuno chiama più così, la poesia, piccola e breve, vive in una metafora onirica che è la gioia di ogni insegnante che vede i propri studenti affaticarsi nel decodificare il testo poetico.
Tutto questo, ma anche molto altro, è questa raccolta di Andrea Buccini, che non posso e non voglio snocciolarvi tutta. Toccherà a voi, a ciascuno di voi, confrontarsi con le parole, il ritmo, le metafore, la scrittura di Andrea e soprattutto con il vostro spirito, la vostra sensibilità, la vostra condizione di vita. Perché solo così la poesia è viva, perché questa è la grandezza della poesia: ci rende capaci di vedere dentro di noi attraverso lo specchio di un altro che esprime il suo mondo interiore.