Sì… a votare ci vado… ma non saranno 4 sì!
Non credo di violare il “silenzio elettorale” se dichiaro che andrò a votare per i referendum che domani e dopodomani si svolgeranno in tutta Italia.
Da cittadino ritengo che sia un dovere civico quello di andare a votare, sebbene riconosco la validità costituzionale di chi decide con coscienza di astenersi.
Rifiuto però la logica di chi per dire “no” preferisce lucrare dei consensi di coloro che non vanno più a votare da tempo, perché delusi dalla politica o convinti dell’inutilità dell’espressione del voto o genuinamente anarchici.
Anche io andrò nella cabina elettorale per esprimere dei no. Due, per l’esattezza. Ma lo faccio consapevole che è in quel modo, cioè votando, che affido la mia opinione, che è ragionata, riflettuta, dibattuta ed anche un po’ sofferta.
Se il referendum qualcosa di buono dovrebbe farla è proprio far sì che si discuta nel merito delle proposte e non in maniera ideologica. Certo, riconosco che anche questa volta una tale impostazione è stata utopica: abbiamo assistito ad una contrapposizione puramente politica, dove l’oggetto dei quesiti referendari è rimasto il più delle volte ai margini, o peggio semplicemente un vessillo per coprire e indicare schieramenti (politici) contrapposti. Ho visto fior di esponenti politici cambiare idea sui temi oggetto del referendum in maniera sorprendente, solo per motivi “di bandiera”, per l’appunto. Non è così che lo strumento referendario verrà salvato.
Ritengo sia necessaria una profonda riforma costituzionale dell’essenza stessa dei referendum: nel 1948, quando la Costituzione fu varata, coinvolgere 500 mila elettori che firmassero una richiesta per lo svolgimento di una consultazione referendaria era complesso e indicava di per sé un tema di grande interesse generale, per il fatto stesso che si riuscissero a raccogliere tutte quelle adesioni. Oggi, con i mezzi di comunicazione che abbiamo, raccogliere 500 mila firme, il limite minimo fissato dalla Carta, è una bazzecola.
Il Parlamento, passata la buriana del 12 e 13 giugno, discuta nel merito e con coraggio di questa riforma: troppi referendum, e dai temi spesso tecnici e poco generali (ma non è questo il caso) sviliscono il senso stesso del referendum e sottraggono, di fatto, ai cittadini uno strumento importante di consultazione.
Inoltre, visto che riforma deve essere fatta, facciamo completa: prevediamo anche altri tipi di referendum, non solo quelli abrogativi.
Ma la politica – quella che Paolo VI chiamava “la più alta forma di carità cristiana” ed oggi ridotta, per la maggior parte, a stanca ripetizione di slogan – sarà capace di un nuovo slancio?
Sperare non costa nulla. Essere ottimisti fa vivere meglio!