“Onira”: la mia lettura al premio di poesia “Paride Di Federico”
Con grande piacere, sabato scorso, 14 maggio, sono stato invitato dall’amministrazione comunale del mio paese ad intervenire, in qualità di docente di scuola secondaria, al premio di poesia “Paride Di Federico”, intitolato ad un giovane poeta miglianichese, che ho avuto la fortuna di conoscere, prematuramente scomparso nel fiore degli anni. Mi è stato chiesto di tracciare un breve profilo della seconda raccolta di poesie di Paride, “Onira”, che è uscito ad un anno dalla sua morte.
Non avendo previsto la scrittura integrale del mio intervento, ho cercato di ricostruirlo sulla base degli appunti che mi sono stati essenziali in quella serata per non dilungarmi su un tema stimolantissimo, quello dei sogni, che del resto costituiva il “fil rouge” dell’ottava edizione del concorso di poesia, riservato agli studenti di primaria e secondaria e con una sezione per i poeti più “maturi”.
La poesia è un’esperienza molto personale, certo di chi la scrive, ma ancor di più di chi la legge; un insegnante, invece, deve fare ancor di più, la deve “leggere con”, pensando agli alunni che ha di fronte, cercando innanzitutto di far gustare le parole poetiche, poi di far balenare i significati che l’autore veicola, ma soprattutto di far nascere nuovi significati negli studenti, senza imporre la propria lettura del testo.
Noi docenti proponiamo una lettura, ma lasciamo aperta la strada a tante nuove letture, che nascono dalla sensibilità personale di chi legge. Così è anche dei sogni: ci sono le interpretazioni degli esperti (psicologi, psicoterapeuti, medici), ma il sogno è un’esperienza molto personale che viene riempita di contenuti da colui che sogna.
La mia riflessione sulla silloge di Paride Di Federico parte da un assunto di Edgar Allan Poe, in uno dei suoi racconti più famosi e più belli, almeno per me, l’Eleonora: “coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte”. Credo che questa verità, di cui tutti possono rendersi conto, riecheggia nella citazione fatta poco fa dal sindaco, tra l’altro tratta da uno dei miei autori preferiti Joseph Conrad (“Abituali spettatori dell’agire del mondo, i sognatori sono terribili quando, di colpo, li prende il bisogno di agire. Abbassano la testa e si precipitano contro i muri con quella serenità sconcertante che può dare soltanto un’immaginazione disordinata”).
Grazie a questa doppia citazione mi soffermerei ora sulla prima suggestione che offre Paride nella sua opera, riportando un passo che mi è caro per l’esperienza personale ed ancor di più per la “missione” che ho come insegnante:
Non è nell’aria
fredda
della sera
che cerco compagnia;
non è ignavia
quel che riflette
lo specchio
dell’anima,
la mia.
Il labirinto
d’odio riflettente amore
della sprezzante quotidianità
ha perduto
ogni contorno.
Nell’insolubile notte
di rado fiorisce il giorno.
Acqua vitale
trovai
in quei libri,
nostro solo
ed unico
punto d’incontro.
(Just Loving Books)
I libri sono compagnia, sono fonte di acqua vitale; i libri ci fanno sognare, ma a volte vorrebbero rovinarceli, i sogni, razionalizzando tutto:
Accetto
che le stelle
luminose
siano pari
al nostro Sole
che fugge gli sguardi,
al nostro Sole
rovente
e schizzinoso.
Accetto
che siano tra loro
sideralmente distanti,
che siano morte
seppur brillanti.
Eppure al loro cospetto
a chi studiandole avesse errato
va il mio pieno rispetto.
Accetto che siano
come voi
scienziati
le narrate…
… ma io voglio credere,
accettatelo,
che tale velluto trapunto d’oro
ci protegga
dall’infinita
fredda
notte eterna.
(Oro e velluto)
La poesia ci fa sognare, trasfigura la nostra quotidianità, ci fa meravigliosamente perdere nei nostri sogni:
Nelle profondità
di laghi marziani
ho cercato
il tempo della meraviglia.
Il paese che si desta
è un rincorrersi
di piccoli rumori
immaginati.
La casa
si assesta
tra velati chiarori
fluenti.
Alla finestra
stetti
con gli occhi persi
nell’invisibile
neve nera.
Bianchi i tetti
e tali le strade
mentre il lampione
zafferano
rivela
che timida
ancora cade.
Stetti
finché
opacità
diede ragione
al freddo.
Nelle profondità
di laghi marziani
ho cercato
il tempo della meraviglia.
Sconfitto,
non ottenni altro
che cinque minuti di ritardo.
(Il tempo della meraviglia)
Quei cinque minuti persi saranno stati persi per chi fa il conto del tempo come un ragioniere, ma questo non è il conto dei poeti e dei sognatori.
L’uomo è ragioniere o sognatore? L’uomo maturo è caratterizzato dal calcolo o dalla capacità di rischiare? Credo che Paride abbia dato una soluzione mirabile a questo dilemma:
Tra due alte ripe
troverai la strada
della saggezza.
Non ponte
né guado
ma un filo sospeso.
Tu, uomo equilibrato,
ti tirerai indietro?
(Saggezza)
Il percorso potrebbe essere più lungo, tra l’altro non è l’unico possibile all’interno di questa silloge, ma solo uno fra i tanti.
Ho pensato tanto a come chiudere questo mio intervento, se con un ricordo di Paride, che ho avuto la fortuna di conoscere, o un messaggio particolare, magari diretto ai miei alunni e agli studenti qui presenti. Invece, alla fine, è stato proprio Paride ad indicarmi uno dei possibili finali di questo breve percorso che avete avuto la bontà di seguire accanto a me: lo ha fatto con gli ultimi versi della poesia che chiude la silloge “Onira” e che è un monito universale, ripetuto da poeti, scrittori, filosofi in diverse forme:
(…) In attesa del proprio turno,
morirono i più
nell’ignoranza di essere vissuti.
(Vita eterna)
La poesia e l’arte più in generale ci fanno vivere pienamente, ci fanno essere pienamente uomini, capaci di ragione e ancor di più di emozione. Non moriamo nell’ignoranza di non essere mai vissuti.