La vecchia, cara scuola media va via, ma attendiamo il nuovo Centro per la Famiglia!
Prima di partire per i giorni di Fiera Didacta Italia ho voluto fare l’ultima foto alla “mia” scuola media prima della demolizione, che sapevo sarebbe iniziata di lì a breve… poi sono tornato ieri sera e ho trovato il cantiere in piena evoluzione con parte dell’edificio già ridotta in macerie. Uno “spettacolo” che posso vedere (ahimè) in diretta dal mio balcone che si affaccia sui lavori in corso.
Come molti, moltissimi, anche io conservo dolci (e anche meno dolci) ricordi di quell’edificio, che per tre anni mi ha visto come alunno e che per molti altri anni ho frequentato in diversi contesti (seggio elettorale, biblioteca, sede provvisoria del Comune…) e il cuore (che ha le sue ragioni che la ragione non comprende) soffre nel vederlo sventrato e nel saperlo presto azzerato e cancellato. Questa è una caratteristica della memoria, che è legata a ciascuno di noi, è profondamente umana ed è incomprimibile.
Ma altro è parlare di storia.
Quando un edificio è storico? In primo luogo per motivi di età. Certamente la nostra vecchia scuola media non aveva una tale mole di anni, del resto era stata costruita tra fine anni Sessanta e inizio anni Settanta del secolo scorso sulle macerie di un edificio, quello sì storico, la “filanda Foppa Pedretti” che nel XIX secolo diede lavoro e prosperità a molti a Miglianico. Un po’ come il vecchio municipio, anch’esso demolito, bruttino alquanto, che prese il posto proprio nei “Roaring Sixties” dell’artistico Comune di fine Ottocento.
Nel 1983, io ero ancora bambino e non posso ricordarmelo, ma il ricordo è vivo grazie ai racconti che ho sentito più di una volta nella mia crescita, venne demolita l’antica (quella sì, anche se neppure tanto) chiesa di San Rocco, in via Roma, che era di fine Seicento. Un attacco molto più forte all’identità miglianichese, un luogo certamente più caro alla popolazione rispetto alla pur utile scuola media o al vecchio municipio. Eppure, tra le tante voci che si sollevarono allora (e che spesso sono tornate ad echeggiare negli anni), non fu mai udita una parola contraria del nostro parroco, don Vincenzo Pizzica.
Don Vincenzo, che aveva la vista lunga e che è stato davvero lungimirante per il nostro paese, pur non essendo miglianichese, aveva già intuito le potenzialità future di quella demolizione e aveva già immaginato nella sua mente quello che oggi è il complesso parrocchiale, ampio, spazioso, dalle grandi possibilità aggregative, che però sorse ben 21 anni dopo quella demolizione, grazie alla sua tenacia e alla sua visione lucida, tesa al futuro.
Ebbene: è così anche oggi. Vediamo venire giù tanti ricordi belli, senza dubbio, che fanno male al cuore, ma sappiamo già, grazie ai rendering che ai tempi di don Vincenzo non si usavano così tanto come oggi, quale sarà il futuro di quell’area e quale grande occasione porterà alla comunità, a tutti indistintamente. A me basta per salutare con una giusta lacrima l’edificio che sta scomparendo, ma anche per attendere con ansia l’edificio che sta per nascere, sperando di poter vedere tra un paio d’anni la sua inaugurazione e di poter usufruire di quegli spazi che oggi, anzi ieri, qualcuno ha già immaginato in maniera lungimirante.
Poi ognuno rimane della sua idea, per carità, ma la storia è fatta di occasioni da cogliere e questo momento storico-amministrativo, con i soldi del PNRR a disposizione di chi ha idee e programmi (e non per chi vuole utilizzarli tanto per fare qualcosa), è quello giusto per pensare al futuro.
Così è sempre stato… per fare un banale e stra-noto esempio, basta citare lo scambio di lettere tra Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi a metà Ottocento, quando il primo rimproverava al secondo di aver derogato dai suoi principi repubblicani e rivoluzionari per mettersi al servizio della monarchia sabauda e quello rispondeva a questo, da sempre considerato un rispettabile maestro, a cui andava la sua ammirazione, che prima di tutto occorreva pensare all’obiettivo finale, l’Unità d’Italia, e che poco importava se l’avesse realizzata una rivolta popolare, di cui non si vedeva l’ombra allora, o una guerra guidata da un Re che aveva avuto il coraggio di rischiare il suo trono per un’utopia, condivisa da tanti repubblicani. Mazzini rimase tranquillo e beato a Londra, Garibaldi scese in prima linea nella prima, nella seconda e finanche nella terza guerra d’indipendenza (dove fu l’unico a conseguire le vittorie sul campo, obbedendo poi a ritirarsi sebbene vittorioso). Il primo poi tornò beatamente a Unità d’Italia compiuta per sedersi, da eletto del popolo, nel Parlamento unitario, mentre il secondo, che più di ogni altri si era speso per quel risultato, si ritirò amareggiato a Caprera per gli attacchi e le critiche ricevute. Mazzini non riuscì a vedere l’occasione, Garibaldi la colse e fu un bene per tutti, anche per chi lo criticò aspramente.
Si parva licet componere magnis, siamo di fronte allo stesso bivio.
Ciao, cara scuola media! Ti aspetto con ansia, caro centro per la famiglia!