A ottant’anni dalla rappresaglia di Santa Cecilia a Francavilla
30 dicembre 1943. In una doppia rappresaglia (prima interessò 9 uomini, effettivamente rastrellati e fucilati, poi 11, vittime della furia del maresciallo Ehlers Arnold, che si mise a sparare all’impazzata all’indirizzo di contadini italiani) dovuta al ferimento a morte di un soldato tedesco colpevole di un tentativo di stupro o, come altri pensano, per aver dato rifugio a due marconisti alleati nell’ambito dell’operazione SIMCOL, riusciti a sfuggire ai tedeschi che li avevano individuati (o anche per le due cose insieme, visti i “due tempi” dell’eccidio) muoiono in contrada Santa Cecilia di Francavilla al Mare ben 20 italiani, tra civili (per lo più agricoltori), militari in servizio e soldati in fuga (il termine tecnico sarebbe “sbandati”).
Tra di essi, Antonio Di Meo, 25 anni, aviere della Regia Aeronautica, da poco rientrato a Miglianico dopo aver abbandonato la divisa all’annuncio dell’armistizio: era il fratello maggiore di mio nonno Ernani (quest’ultimo ebbe la “fortuna” di essere impegnato in fanteria nel teatro operativo dell’Africa settentrionale e quasi subito fu fatto prigioniero dagli Inglesi e spedito in un campo di lavoro fino alla fine della guerra).
La memoria del mio prozio Antonio è stata sempre coltivata dalla “zia Armelia”, ossia la sorella Erminia, che me ne parlava di continuo quando l’andavo a trovare (mi voleva un gran bene la zia…) in quella piccola casupola di vico VII San Rocco con il bagno ancora all’esterno, come si usava nell’anteguerra, e che oggi si vede, anche se palesemente abbandonata, dal piazzale della chiesa nuova di San Rocco. Dovevano essere molto uniti, zio Antonio e zia Erminia, del resto erano i due primi figli dei miei bisnonni Eugenio Di Meo e Santa Rulli, i quali ho avuto la fortuna di conoscere e abbracciare fino ai miei 4 anni: a distanza di decenni, gli occhi della prozia si velavano sempre di pianto quando a fine anno si avvicinava l’anniversario di quella fucilazione che fu per tutto il circondario una testimonianza evidente della ferocia dei nazisti che da poco avevano completato lo sfollamento dei nostri paesi, sradicando decine di migliaia di persone dalle loro case, dalle loro terre, dai loro affetti. Questa rappresaglia palesò l’evidente rete di sostegno di cui gli alleati e i partigiani godevano tra la popolazione locale, stanca dei soprusi nazi-fascisti. Ci sarebbero voluti ancora mesi prima della liberazione delle nostre terre, nella tarda primavera, e della riesumazione di quei cadaveri, gettati in una fossa comune fatta scavare dai soldati tedeschi agli stessi superstiti al rastrellamento.
La memoria degli eccidi della Seconda Guerra Mondiale, a ottant’anni di distanza, non può scomparire: il sangue degli innocenti grida ancora verso di noi e il sacrificio di chi si oppose con convinzione e a rischio della propria vita agli invasori deve ricordarci che la libertà è il bene più prezioso, anche a fronte di qualsiasi bene materiale, benessere sociale o utilità concreta.
Oggi il pensiero va a tutti i martiri di Santa Cecilia e al contributo che anche la mia famiglia ha dato alla libertà dell’Italia.
Una scheda riassuntiva dell’eccidio di Santa Cecilia si trova qui: https://www.straginazifasciste.it/…/Francavilla…