Miglianico nome (e paese) di origine greca? Non scherziamo… un excursus sulla storia toponomastica
Quello dell’origine del toponimo Miglianico è uno dei problemi più stringenti relativi alla storia del nostro paese, le cui origini purtroppo sono avvolte in quel mistero che furono i secoli VIII-XI, dei quali purtroppo ci sono pochissime attestazioni storiche e documentali, per cui ogni ipotesi relativa alle origini del nome andrebbe vagliata con cura e senza posizioni preconcette e soprattutto considerando che nome e fondazione del paese dovrebbero essere andati a braccetto, quindi l’uno spiegherebbe l’altro e viceversa. In altre parole, non si può tentare di ricostruire l’origine del toponimo analizzando solo linguisticamente un nome, la cui grafia è peraltro incerta nelle sue prime attestazioni scritte, ma occorre costantemente riferirsi anche alla storia, assai frammentaria per la documentazione, della zona costiera adriatica e dell’immediato entroterra, dove attualmente Miglianico sorge.
Partiamo dalle attestazioni del nome “Miglianico”: esso fa la sua comparsa per la prima volta con la forma Mellianum nel Catalogus Baronum del XII secolo, scritto tra il 1150 e il 1152 per ordine del re normanno Ruggero II, poi andato distrutto nel 1161 durante la rivolta contro re Guglielmo I e riscritto praticamente a memoria dal monaco Matteo d’Aiello e ripubblicato nel 1166 sotto il regno di Guglielmo II. È importante partire da questo documento e soprattutto considerare la sua natura, quella cioè di un vero e proprio catasto ante litteram, in cui venivano indicati tutti i feudi e i suoi feudatari del regno normanno per poter riscuotere correttamente le tasse (e per questo, molto probabilmente, venne immediatamente preso di mira e distrutto durante la rivolta del 1161): se dunque, nel XII secolo Mellianum veniva descritto, al paragrafo 1014 del Catalogus Baronum, come pheudum trium militum (feudo di tre militi) e accanto si cita anche Montopolum “quod est unius militis” (“che è di un solo milite”, quindi già allora più piccolo di Miglianico, di cui oggi è contrada), ciò significa che Miglianico sicuramente era già un territorio strutturato da diverso tempo, tanto da essere infeudata.
Qualche anno dopo, in una bolla di Papa Alessandro III del 16 giugno 1176, il testo della quale è custodito nell’archivio diocesano di Chieti e in cui il pontefice conferma a San Giovanni in Venere alcuni possedimenti, il nome del paese già viene indicato come Milianica i cui clerici erano tenuti al pagamento di 6 tarenos ai benedettini; il 2 dicembre 1204 una bolla di Innocenzo III conferma quanto già stabilito trent’anni prima e torna di nuovo il nome Milianica.
Dopo un secolo, nel 1308, troviamo attestato il nome Molianicum al paragrafo 3454 delle Rationes Decimarum Italiae, una sorta di catalogo, diviso per diocesi, di quanto le singole parrocchie dovevano alla Santa Sede nel XIII e nel XIV secolo. Poco più avanti, sempre nello stesso testo, al paragrafo 3625, riferito all’anno 1325, il nostro paese viene indicato come Milianicum, con una forma molto vicina all’odierno nome.
Certamente Miglianico doveva essere nata molto prima del XII secolo e le sue origini possono essere ricondotte all’opera dei Longobardi che, dopo la parentesi effimera della riconquista bizantina nel VI secolo dopo la guerra greco-gotica (che liberò l’Abruzzo dal dominio dei Goti, Eruli prima ed Ostrogoti dopo), si insediarono già al termine del secolo nella nostra regione costruendo una serie di torri d’avvistamento, una delle quali probabilmente sul colle dove oggi sorgono la chiesa di San Michele Arcangelo e l’ex castello, oggi dimora signorile. Proprio il nome della chiesa è l’indizio più chiaro dell’origine longobarda di Miglianico: San Michele Arcangelo è il loro patrono, è il titolare di numerosissime chiese di tutto il centro-sud, a testimonianza della loro profonda penetrazione all’interno del territorio, che fu solo sfiorato nella breve riconquista bizantina (quindi greca), limitata alle coste e all’immediato retroterra (Ortona, Crecchio, Lanciano, Vasto).
Pertanto il nome Miglianico non può avere origine bizantina per motivi strettamente storici. Non a caso, anche Bucchianico (che presenta lo stesso suffisso -anicus) ha una chiesa parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo, costruita alla sommità di un colle che domina la sottostante valle: è evidente, a mio parere, la coeva fondazione per le medesime finalità, con la stessa dedicazione della chiesa e con un nome formato nella medesima maniera (per riportare l’ipotesi del linguista e docente di Dialettologia Italiana Marcello de Giovanni, accolta nel “Dizionario di Toponomastica” edito dalla UTET, sarebbe una formazione che presenta nella prima parte un nome prediale, ossia il proprietario delle terre, Aemilius per Miglianico e Bucculus per Bucchianico, con il suffisso “anicus” che indica appartenenza). Nella giurisdizione longobarda c’era anche Caramanico, che però appare essere località più antica di Miglianico e Bucchianico, visto che la sua prima attestazione documentale è dell’anno 967 (quasi due secoli prima del Catalogus Baronum) e comunque dall’etimologia in parte differente, nel senso che deriverebbe non da un nome prediale latino, ma addirittura già germanico (“Carimann”), con il solito suffisso “anicus”, che comunque lo ricondurrebbe alla tipica fondazione longobarda.
Non è possibile affermare che la località “Caramanico”, presente nella odierna contrada Piane San Pantaleone come semplice indicazione del cognome familiare più diffuso in zona (come succede, sempre nelle contrade miglianichesi, a “Prato”, “Del Ciotto”, “Ferrara”…), sia la dimostrazione della derivazione di Caramanico da Miglianico, quanto piuttosto casomai il contrario, visto che una chiesa fuori le mura dedicata a San Pantaleone – probabilmente fondata dai monaci basiliani (quelli sì di origine e cultura greco-bizantina come il santo che essi onoravano) che sul finire del XV secolo nascosero il simulacro di San Pantaleone nella famosa “fornace di Caramanico” per paura della invasione saracena del 1492 che distrusse la chiesa di San Franco a Francavilla al Mare – era detta appartenente alla chiesa di San Tommaso de Paterno, che si trova proprio a Caramanico, fondata certamente da molto tempo visto che nell’VIII secolo era già molto nota e citata in diversi documenti: tale collegamento è inequivocabilmente segnalato dalle Rationes Decimarum Italiae all’anno 1324.
Fin qui le annotazioni storiche, che in alcun modo collegano Miglianico con qualsivoglia origine bizantina (quindi greca).
Si è però affermato (lo fa il prof. Raffaele Di Virgilio in un articolo apparso nella Rivista Abruzzese, ripubblicato anche in un volume miscellaneo Le origini samaritane di Roma e altri studi) che la forma nominale di Miglianico, in particolare Milianicum attestato nel XIV secolo, sia particolarmente vicino come formazione alla lingua greca, ad un supposto μηλιανικον (Melianikòn, o letto alla bizantina, Milianikòn, in considerazione del fenomeno dello iotacismo per cui l’originaria lettera “e” lunga del greco, la eta = η, venne via via nel corso dei secoli a chiudersi in -i, come accade ancora oggi nella liturgia cattolica, dove si dice Kyrie eleison, dove la i di eleison in realtà sarebbe la eta, “e” lunga del verbo ελεηομαι, eleéomai = aver pietà). Più precisamente, viene ipotizzato che tale denominazione risalga addirittura gli abitanti dell’isola di Melo (Μηλος, Mélos, sempre con la “e” lunga che solo nel periodo bizantino è passata a “i”, quindi Mìlos), i quali nel 416 a.C., secondo il racconto dello storico greco Tucidide (Storie, V, 116, 2-4), vennero scacciati dalla loro isola dagli Ateniesi, i suoi maschi adulti trucidati, le sue donne e i suoi bambini venduti come schiavi, a causa della mancata alleanza, più volte richiesta, durante la Guerra del Peloponneso. Al posto del Melii, gli Ateniesi insediarono sull’isola ben 500 coloni. Tuttavia, è da sottolineare che nel 405 a.C., appena 11 anni dopo, il generale spartano Lisandro, a conclusione della vittoriosa battaglia di Egospotami, in cui annientò la flotta ateniese, riportò a Melo gli abitanti fuggiti prima del massacro del 416, ricostituendo la città e restituendola ai suoi vecchi abitanti (come si legge in Senofonte, Elleniche, II, 2, 9).
I Melii erano, come riferisce Tucidide (Storie, V, 84,2), coloni di Sparta, quindi non avevano nulla a che vedere, neppure a livello linguistico, con gli Ateniesi e il gruppo etnico ionico-attico: bisogna infatti ricordare che non esiste, a livello linguistico, un “greco antico” come lingua unitaria, bensì essa ha esiti e fenomeni diversi da regione a regione, a seconda del gruppo etnico a cui la popolazione appartiene. Ebbene: ammesso (e non concesso) che, come sostiene il prof. Raffaele Di Virgilio, Miglianico sia stata fondata dai fuoriusciti dell’isola di Melo, essi non avrebbero certo pronunciato “Mìlos” il nome della loro patria, ma “Mélos”, poiché il sistema fonetico del loro dialetto dorico, del ramo lacedemone (ossia di Sparta), manteneva la eta (“e” lunga) e non la volgeva in “i” (iota, da cui il nome del fenomeno, iotacismo). Certamente, si potrebbe controbattere che la prima attestazione scritta di Miglianico è proprio con la “e” (Mellianum del XII secolo) e solo dopo, alla maniera bizantina, che leggeva “e” lunga come “i”, tale vocale si è chiusa (Milianicum del XIV secolo), solo che questo dato cozza con il dato storico, secondo cui tra il XII e il XIV secolo, quando si sarebbe realizzato questo fenomeno iotacizzante, Miglianico fu dominata prima dai Normanni (e precisamente da uno degli ufficiali di Roberto di Loretello, al servizio di Boemondo conte di Manoppello, tale Riccardo Trogisio, che era indicato come signore di Mellianum), poi dagli Svevi, ed infine dagli Angoini. Nessuna traccia, dunque, di bizantini, che del resto, abbandonarono definitivamente l’Abruzzo con l’arrivo dei Longobardi, a fine VI secolo, come già detto.
Improbabile, poi, oltre a livello linguistico, anche a livello storico, che i fuoriusciti Melii che scamparono al massacro del 416 a.C., invece di arruolarsi con gli alleati dorici di Sparta (che poi infatti li avrebbero ricollocati, dopo la vittoria, nella loro città), preferissero attraversare lo Ionio e risalire l’Adriatico per giungere, in pieno V secolo a.C., alla foce del Foro, risalire il fiume e stabilirsi in quella che poi sarebbe diventata Miglianico. In primo luogo, la Magna Grecia, almeno quella fondata dagli ellenici provenienti dalla Grecia continentale ed insulare, non risalì oltre il Gargano (Siponto pare sia stata la colonia più a nord, fondata nientemeno secondo la tradizione dall’eroe omerico Diomede). Per trovare colonie greche in Adriatico più a nord (Ancona, Adria, Lissa, Dimos, Pharos), occorre rifarsi all’espansione di Siracusa, colonia dorica, con Dioniso il Grande, nel IV secolo a.C., circa quarant’anni dopo la tragedia dei Melii. Né si può citare a sostegno la leggenda, sostenuta da Strabone, che Teate, l’odierna Chieti, sia una colonia degli Arcadi, “vicini di casa” degli Spartani, dori come i Melii. Tra l’altro, in pieno V secolo a.C., quando cioè sarebbero sbarcati i fuoriusciti di Melo, in Abruzzo dominavano le bellicose tribù sannitiche che diedero filo da torcere, un secolo dopo, ai Romani: assurdo pensare ad uno sbarco in un territorio presidiato da popolazioni fiere e gelose della propria identità!
Curiosamente, in Sicilia, cuore della Magna Grecia, ci sono due toponimi che si chiamano “Milo”, un Comune in provincia di Catania, alle pendici dell’Etna, ed un quartiere di Trapani, dove durante la Seconda Guerra Mondiale sorgeva uno strategico aeroporto militare; ebbene, nessuno dei due luoghi ha origini greche: la Milo catanese è di origine medievale (XIV secolo), Trapani, di cui Milo è una frazione, ha ascendenze fenice.
Quale dunque l’origine del nome Miglianico? A mio parere, l’ipotesi del prof. Marcello de Giovanni è quella che ha più puntelli, nella storia e nella lingua, e naturalmente non sono neppure da tenere in considerazione le ipotesi, leggendarie e tradizionali, di una derivazione di Miglianico da “miglio”, pianta graminacea i cui steli sono addirittura anche rappresentati nello stemma comunale (anche perché non ci sono coltivazioni estensive di miglio nel territorio comunale né un piatto tipico tradizionale che ne preveda l’utilizzo) o addirittura da “miglio” nel senso di misura di lunghezza, che sarebbe la distanza di un ipotetico villaggio, che la fantasia di Camillo Fabbucci, negli anni ’30 del XX secolo denominò “Sauria”, attaccato e distrutto dai Saraceni e i cui superstiti vennero accolti tra le mura del fortilizio che sarebbe poi diventato il castello.
Post Scriptum aggiornamento del 12 agosto 2020:
La prof.ssa Valeria Di Clemente, professore associato di Linguistica Germanica all’Università di Catania, mia ex compagna di classe al liceo classico “G.d’Annunzio” di Pescara, dopo aver letto l’articolo conferma la mia ipotesi e aggiunge qualcosa di interessante sul discorso del toponimo “Caramanico”:
è assai probabile che dietro ci sia un *(E)milianicu [metto di proposito una forma ipotizzata di latino parlato tardo, eh] con aferesi. In Mellianum la /e/ può essere il banalissimo abbassamento della /i/ di tante varietà romanze.
Non conoscevo il legame di San Michele Arcangelo con Miglianico e confermo che il culto dell’arcangelo era molto diffuso presso i Longobardi.
Mi interessa parecchio Caramanico (paese e contrada): i due toponimi potrebbero anche avere origini parallele e indipendenti, perché Cariman (alias *hariman) potrebbe non fare riferimento a un nome di persona, ma appunto all’appellativo longobardo *hariman, reso in latino come arimannus, ma che poteva essere anche tradotto come exercitalis, e designava l’uomo libero che poteva portare le armi, partecipare all’assemblea e difendere la comunità. Forse quindi il toponimo in origine indicava “proprietà, insediamento di Hariman” oppure “proprietà, insediamento dell’arimanno”, ma è comunque particolare il trattamento di */h/ (/x/) come /k/ <c>, che testimonierebbe un insediamento piuttosto antico! La forma attuale Cara- si potrebbe spiegare con una reinterpretazione paretimologica sulla base dell’aggettivo “caro”, o una semplice assimilazione progressiva cari > cara.
L’ipotesi linguisitica di Raffaele Di Virgilio, relativa all’origine greca del toponimo Miglianico, ritorna nel suo nuovo libro “Dall’Adriatico a Madre Majella”, con una serie di ulteriori ipotesi riguardanti altri toponimi della vallata del Foro, da Francavilla a Fara Filiorum Petri, a Pretoro, a Guardiagrele per arrivare alla Maiella, ugualmente basate su mere considerazioni di carattere linguistico, che non tengono minimamente in conto le fonti storiche, che spesso sono dirimenti. Il libro è privo di note e di una bibliografia specifica sull’argomento. Basti ciò.