La “Venuta” di San Pantaleone: una festa tutta miglianichese
Oggi, come ogni ultima domenica di ottobre, non è solo il giorno del passaggio dall’ora legale all’ora solare, ma per tutti i miglianichesi sparsi nel mondo è la festa della “Venuta di San Pantaleone”, che è una celebrazione peculiarmente di Miglianico e che nessuna delle cittadine che onorano il santo martire di Nicomedia ricorda.
Ripropongo per questo un pezzo di storia che avevo scritto l’anno scorso su www.vivamiglianico.it: si potrà così trovare la spiegazione documentale di questa tradizione.
Se c’è una festa autenticamente e pienamente “miglianichese”, questa è quella della “Venuta di San Pantaleone” (la “minuta”, nel nostro bel dialetto): una ricorrenza che non è presente in alcun altro paese devoto al nostro santo patrono, un culto che non richiama alcuna altra memoria liturgica (come per esempio la nostra “Madonna delle Piane”, che coincide con la festa della Natività della Beata Vergine Maria).
La “Venuta” ce l’abbiamo solo noi, anche perché è legata ad un evento solo miglianichese, avvolto nelle brume di un passato supportato da pochi documenti, appesantito poi dalle leggende popolari che non mancano mai in materia di sacro.
Come dice il nome stesso, “Venuta”, in realtà una italianizzazione del concetto dialettale di “minuta”, molto più ampio rispetto al corrispondente italiano, richiama il momento in cui San Pantaleone, o meglio la sua statua, quel simulacro nascosto secondo la tradizione nella “fornace di Caramanico” per sottrarla dalle scorrerie dei Saraceni, è stata per la prima volta portata dalla pianura sul colle, in quella che allora era la chiesa annessa al palazzo baronale di Miglianico. E quella “venuta” segnò anche il cambio del santo patrono della cittadina, che pare avesse prima come protettore quel San Giulio (la cui identificazione è molto difficoltosa) che oggi viene celebrato in coda alle nostre feste patronali, il 28 luglio.
Quando si colloca nel tempo questa “Venuta”? Non è facile stabilirlo, studiando i documenti in nostro possesso, che si trovano principalmente nell’archivio diocesano, al quale, grazie a delle ricerche commissionatemi da don Amerigo (e che spero io possa presto mettere insieme e pubblicare) ho avuto la possibilità di accedere.
Iniziamo con il dire che la presenza di San Pantaleone in una chiesetta in contrada Piane è attestata per la prima volta nel 1324, in un catalogo dei possedimenti del monastero di San Tommaso de “Paterno”, che può identificarsi con l’odierna località Caramanico, ma sicuramente non è questo il periodo in cui si è realizzata la “Venuta”, che dai racconti popolari viene collegata (giustamente) ad una scorreria di Saraceni, per timore della quale i buoni monaci Basiliani (cioè devoti a San Basilio, quindi di formazione orientale, dove il culto di San Pantaleone è molto forte) nascosero la statua del santo.
Dopo il 1324, sono solo due le invasioni saracene attestate lungo la costa adriatica: la prima è del 1492, con l’attacco a Francavilla al Mare, ma senza alcun documento che attesta la penetrazione dei turchi verso l’interno; la seconda è la “grande scorreria” dell’estate del 1566, con a capo Pialì Pascià, che in primo luogo ridusse in macerie la chiesa di Santa Maria Maggiore a Francavilla (testimoniata per iscritto dalla visita pastorale del 1568) e poi si diresse verso l’interno risalendo il corso del fiume Foro e terrorizzando le popolazioni della pianura. Tra l’altro sono databili al 1566 sia la tradizione della “battaglia dei turchi con i cristiani”che celebra la resistenza di Tollo contro le truppe di Pialì Pascià, sia quella del “miracolo di Santa Margherita” a Villamagna, che ricorda come il paese venne risparmiato dai Saraceni.
Ora, quale delle due invasioni è quella che ha determinato la decisione dei monaci Basiliani di nascondere in fretta e furia la statua di San Pantaleone nella famosa “fornace di Caramanico”? Sarebbe facile indicare la data del 1566, proprio per l’ampia documentazione che testimonia il passaggio dei Saraceni dal mare Adriatico verso l’interno. Tuttavia, se consideriamo la leggenda popolare che cita Santa Margherita, patrona di Villamagna, come “sorella” di San Pantaleone, patrono di Miglianico, non possiamo che pensare che il nostro santo fosse già il protettore della nostra cittadina prima del 1566, quando già Santa Margherita era attestata come protettrice di Villamagna.
Quindi si può sostenere come ipotesi (e tale era quella che ci aveva sempre indicato il nostro amato don Vincenzo, senza il supporto dei documenti) che i monaci Basiliani, temendo che l’invasione del 1492, che aveva portato alla profanazione delle chiese di Francavilla, si allargasse fino alle vicine Piane, abbiano preventivamente nascosto la statua di San Pantaleone nella fornace di Caramanico, pensando di recuperarla in un secondo tempo, quando il pericolo turco si fosse allontanato. Evidentemente, nonostante il rapido ritiro delle truppe saracene in quell’estate del 1492, il pericolo era ancora incombente (in effetti, solo con la vittoriosa battaglia di Lepanto del 1572 le scorrerie turche sulle coste adriatiche cessarono definitivamente): per questo i monaci decisero di riparare il prezioso simulacro del nostro santo nella chiesa sul colle di Miglianico, che era annessa al castello baronale (citata come chiesa di Sant’Angelo già nelle “Rationes” stese tra il 1324 e il 1325).
Qui si innesta la leggenda popolare, secondo cui il curato dell’epoca non si preoccupò di assegnare un posto d’onore alla statua, anzi, essa fu relegata nella sacrestia della cappella, ma per tre giorni consecutivi il simulacro fu ritrovato al centro della chiesa con lo sguardo rivolto verso la contrada Piane (così come oggi quando San Pantaleone è chiuso nella sua “nicchia”), segno che il santo voleva essere onorato come meritava: una storiella che spiega forse come in breve tempo il culto di San Pantaleone soppiantò quello di San Giulio come protettore di Miglianico.
La “Venuta”, collocabile probabilmente alla fine di ottobre del 1492, segna dunque il ricordo dell’installazione di San Pantaleone come principale protettore della nostra cittadina e per questo la festa che si perpetua da secoli è quella più genuinamente “miglianichese”.