Pensierini di fine anno
C’è chi, riguardando i dodici mesi appena passati nella mia vita, potrebbe a ragione chiamare il 2014 un “anno di disgrazia”, eppure io non riesco a non reputarlo un vero “anno di grazia” e per questo a tenerlo nell’album dei ricordi più belli.
Eppure il 2014 si era aperto, a metà gennaio, con la sentenza che da un momento all’altro aspettavo, ma che non si è mai pronti a sentirsi comunicare: “È arrivato il momento di operare, la sua valvola così com’è da sola non ce la può più fare”.
Questo l’inizio, ma non potevo davvero immaginare la fine.
La fine, che è stato un nuovo inizio, ha raccontato sì di 65 giorni di ospedale, divisi in ben sette ricoveri in due ospedali diversi e cinque reparti differenti, di due operazioni al cuore, uno per la sostituzione valvolare aortica e l’altro per la chiusura del maledetto leak periprotesico che mi anemizzava continuamente, di centinaia di prelievi e altrettante iniezioni di eparina, di punti di sutura, di giornate lunghe ed interminabili, di attese, di angosce, di 35 giorni chiuso a casa, di tre mesi di convalescenza; ma ha raccontato anche di uno straordinario fiume ininterrotto di pensieri, di preghiere, di contatti, di messaggi, di telefonate, di visite, di un calore che non credevo affatto potesse avvolgere, proteggere, curare, accudire la mia persona, che non immaginava affatto esser minimamente degna di quel tanto di affetto che ho sperimentato.
Ho scoperto che c’è chi mi vuole bene a prescindere (e ce ne vuole, visto che spesso faccio di tutto per risultare antipatico o, peggio, “testone”), c’è chi ha dedicato un minuto o un’ora per dire una preghiera per me, c’è chi ha trepidato angosciato per le mie giornate in rianimazione, nelle quali nessun post o nessuna foto confermava la mia esistenza in vita, c’è chi non ha smesso di sorridere quando la mia battaglia è terminata vittoriosa.
Una scoperta sorprendente, perché non ritengo di aver mai fatto nulla di così straordinario da meritare tutto questo. Quindi immagino che sia un sentimento “a prescindere”, come lo sono tutti i veri sentimenti.
Una scoperta che mi ha impegnato ad essere migliore di quello che ero, anche se è davvero difficile, perché la routine ti sovrasta immediatamente e lo scampato pericolo è una sensazione che si dissipa facilmente e che ti fa tornare all’arida quotidianità in cui chi più ti è vicino (a partire dai genitori, per passare poi alla famiglia, agli amici più stretti, alle persone con cui condividi compiti, interessi, impegni) più ti “sta stretto”, ma per fortuna più ti capisce e ti perdona.
Il 31 dicembre è una data convenzionale, si sa, non è che la storia proceda per anni o per date precise, è un continuum inarrestabile, ma gli esseri umani, ed io in particolare, hanno bisogno di queste cesure artificiali per poter riflettere e ripartire. Poi si scoprirà (ed io per primo) che la gran parte delle analisi e delle soluzioni prospettate sarà stata inutile, ma almeno abbiamo avuto la capacità di fermarci e di pensare a come migliorarci e se un piccolo miglioramento ci è scappato, tutto di guadagnato è…
Sono già tornato alla mia routine, è vero, i mesi di angoscia e di dolore sono alle spalle (per fortuna), ma questo 2014 lo devo tenere sempre incorniciato per ricordare cosa mi ha fatto scoprire (l’amore e l’affetto di tanti) e cosa voglio per la mia vita (amare e spargere affetto a prescindere). Proprio in queste vacanze di Natale, le prime che posso fare interamente dai tempi di liceo grazie ad un’altra bella novità del 2014, grazie alla latente influenza e alla neve di questi giorni, che – entrambe – mi costringono a casa, chiuso con me stesso e i miei pensieri, mi sto accorgendo di stare perdendo il prezioso insegnamento di questo 2014 ed ora voglio assolutamente recuperarlo. Amare, amare a prescindere, perché solo l’amore a prescindere riempie il cuore davvero: lo riempie tanto più si riesce a “svuotarlo”.
Una sensazione che mi ha sempre dato l’Azione Cattolica e che nel 2014, l’anno in cui avrei voluto proseguire il mio “disimpegno” associativo, iniziato da un paio di trienni, e rotto solo dal gravoso compito di presidente parrocchiale, che mi ha posto dinanzi molte nuove sfide con me stesso, invece mi è toccato dire di sì un’altra volta, un sì pieno di dubbi e di incertezze, ma che mi ha trovato sostenuto da tante altre persone che non mi lasciano solo e che mi perdonano qualche calo di tensione, anzi lo minimizzano aumentando il loro impegno, senza farmelo pesare.
Il 2014 mi ha regalato pure quella bella sensazione di lavorare per un sogno collettivo senza avere il bisogno di “metterci la firma”, di essere per forza in primo piano, il protagonista di un progetto: la splendida ed inattesa (per le proporzioni) vittoria elettorale in Comune per una squadra di coetanei, con i quali sono stato a scuola assieme, con i quali sono cresciuto, con i quali sono stato in giro per scampagnate e gite. Incredibile constatate quanta fiducia hanno ispirato e gravoso pensare a quanta fiducia vada ricambiata con correttezza, puntualità, onestà… Sono un esterno al progetto, ma come nei migliori gruppi di amici, non mi hanno fatto mai sentire “fuori”, tutt’altro, e con piacere e con gioia (importante parola recuperata in questo frangente) ho sentito una vittoria anche “mia”, pienamente “mia”.
Il 2014 è anche però l’anno della fine del sogno di una vita: chiude “Il Tempo d’Abruzzo”, si riducono gli spazi di lavoro per gli uffici stampa, diminuisce la possibilità di mantenersi con il giornalismo. Ventidue anni di lavoro vanno in soffitta con una lettera precompilata che annuncia un licenziamento per me e per altri quaranta colleghi, molti dei quali lasciati letteralmente su una strada. Il mio sogno di bambino, tenacemente perseguito contro tutto e contro tutti davvero (“fai un mestiere serio”, è sempre stato l’ammonimento dei miei), svaniva. Un “annus horribilis” allora? No, non riesco proprio a considerarlo tale.
Il 2014 è l’anno in cui, a sorpresa, proprio quando non credevo più di avercela fatta e mi preparavo a stringere i denti (economicamente) per un altro anno, sempre che nel 2015 non fosse cambiato tutto, com’è ancora probabile, lo sforzo fatto tra il 2012 e il 2013 nei lunghi mesi del concorso nazionale per l’insegnamento, si è tradotto in realtà: all’ultimo momento, quando tutti i calcoli fatti mi segnalavano il rinvio all’agosto 2015, ecco che si materializzava in un angolo remoto della lista dei ruoli 2014-2015 un posticino per me, l’ultimo, quello arrivato in extremis grazie ad un’aggiunta fatta solo nella mattina stessa.
Incredibile a dirsi, esistono ancora i “contratti a tempo indeterminato”! E pensare che non volevo proprio farlo questo concorso né tanto meno vincerlo dopo che mi ci sono iscritto solo per non dispiacere a mia madre!
Ed eccomi, a fine 2014 a smentire tutti i luoghi comuni che avevo saldamente sostenuto negli anni relativamente al posto fisso e alla sua inutilità per garantire una vita piena e viva ed a capire che solo ora posso davvero guardare con una certa tranquillità a ciò che potrò fare in futuro. Ma poi il 2014 mi ha fatto scoprire, proprio nell’ultimo mese, quanto era falso e preconcetto quello che avevo sempre sostenuto sull’insegnamento medio e superiore (“un lavoro bruttissimo, ogni tre anni fai le stesse cose e non ci sono prospettive di carriera”): l’insegnamento costituisce una vocazione ed un impegno esaltanti e di grande responsabilità, dove conta il cuore più che il cervello e che mi mette di fronte giorno dopo giorno la necessità di essere metodici nella programmazione ma anche flessibili al cambiamento dell’ultimo momento, duri nella sostanza, dolci nella scorza. E chissà quante altre cose devo imparare e quante già ne ho sbagliate per la semplice e travolgente forza dell’entusiasmo!
Entusiasmo: ringrazio il Signore di non averlo mai perso e prego per non perderlo mai. Verso tutto e verso tutti. Verso i tanti amici storici e le tante persone che porto nel cuore da tempo e verso le nuove conoscenze e le nuove persone che entrano nel cuore e che spesso non riescono ad orientarcisi tanto, visto che è contraddittorio, pur se davvero grande.
E con entusiasmo, anche se stasera sarò bloccato da neve ed influenza e quindi non metterò il naso fuori da casa, saluterò questo 2014, che davvero non posso dire “anno di disgrazia”, ma proprio grande “anno di grazia”.
Il 2015? Chi vivrà vedrà… Voglio viverlo come si legge in uno scritto famoso, del quale però non condivido lo spirito generale, di Antonio Gramsci, di cui non condivido granché a livello di pensiero, intitolato “Odio il Capodanno”… Io lo amo, il Capodanno, per le stesse ragioni per cui Gramsci lo odiava… ma come si dice? Gli estremi si toccano. Una lettura strana per me, ma che oggi mi è capitata sotto gli occhi e che contiene qualcosa di buono, come ogni cosa che c’è sotto il sole (come diceva Qoelet):
Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse.