Equo compenso: un anno passato inutilmente. Ora una proposta comune OdG-Fnsi…
Mi ero riproposto di non parlare più di equo compenso: troppo forte la delusione per un anno interno trascorso in traccheggiamenti, distinguo procedurali, stop and go scientificamente studiati e soprattutto per l’aver visto un mio conterraneo, il sottosegretario Giovanni Legnini, pur sempre apprezzato anche se su posizioni diverse dalle mie, sostanzialmente avallare questa situazione, che è del tutto fuori dalla legalità, visto che i tempi di lavoro erano dettati dalla legge, pubblicata il 31 dicembre 2012.
Siamo già al secondo anno degli appena tre in cui la commissione per l’equo compenso potrà lavorare e solo ora, all’alba del 2014, l’Ordine dei Giornalisti, cui va riconosciuto il merito indiscutibile (tutto del presidente Enzo Iacopino) di avere sempre creduto e spinto su questo punto, è riuscito a trovare un accordo con la Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti, che definire “tiepida” sull’argomento equo compenso è concederle un beneficio eccessivo.
Io stesso ho sentito l’attuale presidente Giovanni Rossi a Pescara definire l’equo compenso “legge perfetta ma che farà la fine della 150, disattesa, perché non possiamo stabilirlo senza il concorso degli editori” (che da sempre hanno aborrito questo provvedimento, riuscendolo a rallentare in fase parlamentare e ora a far praticamente bloccare l’iter della commissione relativa, magari brandendo l’arma del rinnovo del contratto in scadenza).
Insomma, a oltre 12 mesi e mezzo dalla sua approvazione e a poco meno di otto mesi dalla teorica scadenza, secondo legge, dei termini per la presentazione di una definizione precisa di “equo compenso” da parte della commissione governativa, il passo che doveva essere fatto praticamente all’indomani della formalizzazione della commissione stessa è stato compiuto: una proposta unica dai rappresentanti della categoria, OdG e Fnsi.
Certo, se fossimo rimasti alla sola proposta Fnsi (che si può leggere cliccando qui), tra l’altro formalizzata il 19 marzo, non è che si sarebbe fatto un passo in avanti: come ogni documento sindacale, garbugli linguistici che ho imparato a conoscere nei miei deludenti tre anni di esperienza all’Assostampa Abruzzo, c’è tutto e niente e non c’è uno straccio di chiara proposta fatta con i numeri, cioè quel che conta. Tuttavia, è una buona cornice teorica su cui innestare la concreta proposta dell’Ordine (che si può leggere cliccando qui), che è quella che andrà discussa in commissione (la convocazione prossima è fissata al 9 gennaio: non è che salterà di nuovo per qualche motivo oscuro?).
Che dire? Dal punto di vista personale, il “tariffario” (perché di questo in sostanza si tratta) dei minimi è un bel salto in avanti: la storia mia e dei colleghi abruzzesi collaboratori dei quotidiani locali in Abruzzo dimostra che cifre come quelle previste dalla proposta non si sono mai viste qui. 60 euro minimo per un articolo pubblicato in un giornale a diffusione locale entro le 3000 battute è un miraggio: io, che stavo meglio di molti altri, ne prendevo esattamente un quarto. Altri addirittura un sesto, chi pure un dodicesimo. Se approvato, questo tariffario costituirà per il nostro microcosmo una fortuna che però porterà inevitabilmente i nostri giornali a ridurre l’apporto dei collaboratori, sia nel numero sia nella quantità di articoli da produrre. Nel primo caso, poco male: è proprio la pletora di collaboratori a disposizione a bassissimo costo ad aver causato un abbassamento generalizzato delle tariffe e una sostanziale “guerra tra poveri” al ribasso. Nel secondo caso, invece, sarebbe grave, perché verrebbe meno l’informazione “a presa diretta” sul territorio, garantita dai collaboratori, a vantaggio probabilmente dei comunicati stampa e del lavoro al desk.
Ma occorre anche alzare un po’ la testa e guardare al di là del puro orizzonte abruzzese e della carta stampata: questo tariffario minimo che impatto avrà sui freelance a tutto tondo? Non causerà la corsa al ribasso del pagamento delle prestazioni in testate molto più “impegnative” di un giornale locale o regionale? E in quelle realtà, come Milano o Roma, dove il costo della vita è decisamente più alto di qua, questo tariffario sarebbe davvero equo?
Tutte domande a cui si dovrebbe rispondere, anche se sinceramente oggi c’è troppo poco tempo per farlo: sarebbe stato giusto rispondere da gennaio a maggio 2013, cioè quell’arco di tempo che la legge aveva assegnato alla commissione per lavorare su tutti gli aspetti dell’equo compenso ma che è stato utilizzato (al netto delle elezioni politiche) per rinvii, traccheggiamenti, giochetti, dilazioni varie. Ad oggi questa è la proposta e potrebbe andar bene, purché la si approvi presto. La commissione sull’equo compenso scade a dicembre 2015 e non c’è alcuna previsione di legge per la sua ricostituzione. La speranza è che per quella data non ci sia più bisogno di equo compenso, perché sarà stata approvata la riforma dell’Ordine dei Giornalisti, dell’accesso alla professione, del mercato del lavoro giornalistico (con Giovanni Rossi, per esempio, sono d’accordo sul fatto che la vera risposta sarebbe eliminare il precariato con le stabilizzazioni)… Il fatto che tutto questo non è una speranza, è un sogno irrealizzabile, dal quale ci si dovrà svegliare. Sono diventato pessimista, è vero: forse è il pessimismo di chi si è incattivito per il fatto che sarà costretto a rinunciare al mestiere che ha sempre amato e che per 21 anni ha provato a fare dignitosamente (riuscendo a sopravvivere non malamente, devo dire), essendo però ripagato solo con la precarietà.
Almeno l’approvazione di uno straccio di proposta compenserà l’entusiasmo e il sostegno che ho sempre dato all’equo compenso.
stremato per i commenti postati altrove sull’argomento, te ne faccio uno flash: sotto le apparenze dell’equivoco EC/tariffario, buono per chi fa finta di crederci, passano le cambiali all’incasso dopo le elezioni odg e quelle da sottoscrivere in vista delle elezioni fnsi, con l’incipiente maratona contrattuale a fare da invasivo condimento. cassandro scripsit.