Gennaio, periodo di… maialate: in Abruzzo il “santo porco” ci regala soddisfazioni uniche
Ed è arrivato (da poco meno di un mese in realtà) anche il tempo del sacrificio più gustoso di tutto l’anno in Abruzzo: con i rigidi climi di gennaio e la festa di Sant’Antonio Abate, figura religiosa profondamente legata alla terra e ai ritmi contadini della mia terra, al maiale, amorevolmente allevato da moltissime famiglie per tutto l’anno scorso, tocca di immolarsi per la gioia di tutti e regalare agli appassionati straordinarie serate di gusto.
Sono le “maialate”, quei pasti che si fanno nell’immediatezza dell’uccisione del prezioso suino e si trasformano in momento allegro di convivialità che celebra una delle tradizioni più antiche e radicate in Abruzzo, che unisce, come d’abitudine, aspetti sacri e profani, da me analizzati anche nella tesina presentata nel 2008 al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti per il mio esame professionale, frutto tra l’altro di una inchiesta fatta l’anno prima e pubblicata su “Il Tempo” (che si può leggere nella sezione “La mia attività” di questo blog).
La prima “maialata” del 2013 è stata quella, imperdibile, con il prof. Leonardo Seghetti, docente di Morfologia e Fisiologia Vegetale all’università di Teramo, presso la sempre attenta azienda agricola Dora Sarchese di Ortona.
In una domenica di bel sole, le porte dell’azienda di Nicola D’Auria, che già a San Martino aveva celebrato la giornata in cui “ogni mosto diventa vino” e la fine della raccolta delle olive con una magistrale lezione del prof. Seghetti, si sono aperte ai curiosi e agli appassionati per una dimostrazione “sul campo” del rito collettivo dell’uccisione e della spezzatura del maiale.
Purtroppo non ci è stato possibile assistere in diretta all’uccisione del maiale, un vero e proprio rito che rimane però nei miei ricordi di bambino quando “al cambio della luna” di metà gennaio (salvo che ci fosse la nebbia, in quel caso non si procedeva) mia nonna Elvira sacrificava il maiale appeso sul paranco, ma la spezzatura e la spiegazione di ogni singola parte del suino, con la preparazione delle varie carni, è stata accurata e come sempre divertente, grazie alla verve del prof. Seghetti, che ancora una volta ha demolito tutti pregiudizi che circondano la carne suina.
Pezzo dopo pezzo, spezzatura dopo spezzatura, si è dischiuso il quadro di un vero e proprio sarcofago di gusto e di utilità, con la precisazione di quanto la carne di maiale sia fondamentale per la nostra alimentazione e come l’industria della macelleria abbia modificato le naturali proprietà del maiale: sono infatti le tecniche di conservazione e spesso le stressanti trasferte imposte agli animali su anguste gabbie montate su autotreni a rovinare le proprietà nutritive della carne, senza contare il fatto che l’assurda pretesa di avere sempre a disposizione ogni tipo di prodotto costringa l’industria alimentare a far crescere più rapidamente, con evidenti modificazioni genetiche, i maiali.
Discorso a parte per gli insaccati, veri killer, secondo il prof. Seghetti, della salute, specie con le procedure attualmente in vigore nell’industria; una battuta folgorante, che ci fa comprendere quanto spesso siamo superficiali con la nostra alimentazione ha riguardato il prosciutto cotto: “Come fa ad essere quadrato se in natura ha tutta un’altra forma?”. Ovvio: perché lo si riempie di ogni tipo di scarto e grasso. Gli insaccati, purtroppo, con le tecniche di realizzazione attuale, risulterebbero quasi universalmente deleteri.
La lezione, durata circa un’ora (trascorsa in un religioso ed estatico silenzio, che veniva alimentato dai profumi della carne appena spezzata), si è conclusa con uno spettacolare lavoro di realizzazione in diretta delle salsicce con il nuovo maiale.
E poi, come di tradizione, il passaggio dalla teoria alla pratica, grazie alle sempre sapienti mani della signora Dora Sarchese, con un menu sfizioso di specialità “suine”, alcune delle quali cotte direttamente con la carne spezzata durante la lezione.
E, come da antica tradizione abruzzese, la spezzatura del maiale è stata dedicata a Sant’Antonio con la rappresentazione popolare delle tentazioni del santo monaco egiziano nel deserto, chiamata tradizionalmente “Lu Sand’Andonie”, che centinaia di compagnie amatoriali mettono in scena in ogni angolo della regione, nelle feste di paese e di contrada che in queste sere non mancano mai.
Le “maialate” non finiscono qui: domani sono atteso da quella dell’Accademia Italiana della Cucina, che non poteva non celebrare a suo modo il “funerale del porco”, con una conviviale accademica che aggiungerà altre conoscenze al mio bagaglio gastronomico. Interessante il menu, che come di tradizione sarà commentato e raccontato dal simposiarca, Paolo Albanese: attesa con crostini con pasta di salsicce e poi, a tavola, sanguinaccio alla ferzora, zuppa di fagioli cannellini con cotichelle sgrassate, cif e ciaf di maschera di porco con bastardoni e broccoli neri, pappardelle al sugo di guanciale, arrosto misto con contorno di insalata di arance e verdure di stagione, quindi: nturcitur e gazzosa, frutta e pizza doce.
Insomma, una specialità. E la prossima settimana ci sarà la tradizionale maialata, che dura per ben otto giorni, dell’amico Giuliano Nanni dell’agriturismo “Il Torchio” a Vacri: un’altra occasione da non perdere, e che mi vede ogni anno partecipante fisso (visto pure che capita sempre nella settimana del mio compleanno).
Come disse Mimmo D’Alessio, il delegato regionale dell’Accademia Italiana della Cucina, a chiusura del mio pezzo su “Il Tempo”: Dio benedica il porco!
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