Se ne va un altro pezzo della mia infanzia: è morto Trentino, lo storico sacrestano di Miglianico

Potrebbe succedere, anzi, prima o poi succederà, con tutti, con la mia famiglia… e via un pezzo della mia vita… Cioè, quando morirà mia nonna, non ci sarà più nessuno nello spazio della mia vita di quando mangiavo le stelline in brodo, o di quando mi sentivo scottare la fronte e lei mi metteva il termometro e mi copriva con il plaid perché non sentissi freddo. Voglio dire, quando lei morirà ci saranno tutti i parenti in giro, i pianti, i problemi col contratto della casa, e tutto questo sommergerà il me stesso di quattro anni coi capelli ricci e il maglione blu che mi aveva fatto lei, il mio piatto di stelline, e tutti gli altri momenti di quand’ero piccolo. Pian piano me ne scorderò anch’io, credo.

 

Da quando nel 1996 lessi questo passo del libro “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi, esso mi è sempre tornato in mente ogniqualvolta, nel corso degli anni, venivano a mancare alcuni dei protagonisti della mia infanzia, che è scivolata nella tranquilla vita di un piccolo paese di provincia, che ha un po’ in tutta Italia le stesse caratteristiche e gli stessi personaggi significativi.

Uno di questi ultimi è il sacrestano della parrocchia, figura che la secolarizzazione e la crisi economica hanno fatto sparire in quasi tutti i paesi. Ecco, oggi è morto a 97 anni lo “storico” e ultimo sacrestano di Miglianico, il carissimo Trentino.

Per noi chierichetti (io sono salito sull’altare la prima volta nel 1981, all’età di sei anni, in una calda domenica d’estate, e non ancora ne sono sceso…) la prima cosa strana di Trentino era il suo nome: in realtà, lo avremmo saputo solo molto dopo, al battesimo era stato chiamato Renato, a cui poi avevano aggiunto quel “Trento” che indicava – eravamo nel 1914 al tempo della contrapposizione tra interventisti e neutralisti – l’auspicio che le “terre irredente” ancora in mano agli Austriaci tornassero a riunirsi all’Italia (cosa che accadde quattro anni dopo a prezzo di una sanguinosa guerra). Per tutti, a Miglianico, diventò “Trentino”, anche per il suo fisico minuto.

Lo ricordo sempre accanto al nostro storico parroco, don Vincenzo, al suo fianco fin dal suo arrivo in parrocchia, nel 1950 come viceparroco, e ancora vicino a lui quando l’11 ottobre 2005 morì nei locali della chiesa di San Rocco che aveva voluto, progettato e costruito.

I ricordi personali di Trentino sono legati alla chiesa e alla casa in montagna di don Vincenzo, dove passavamo quasi tutto il mese di agosto: le ostie (non consacrate ovviamente) con la Nutella che ci dava come premio, la sua pazienza nello spiegarci come si faceva il nodo del cingolo, il “giro della morte” per far accendere il carboncino dentro il turibolo (ossia, grazie alla forza centrifuga, faceva roteare velocemente l’intero turibolo facendogli fare più giri consecutivamente), le colazioni che ci portava nella “sala delle statue” nei giorni della festa di San Pantaleone quando noi “chierichetti esperti” servivamo a tutte le messe dei tre giorni (18 in tutto a quei tempi di assidua frequentazione del popolo), le visite “segrete” alla cella campanaria (don Vincenzo non voleva, era pericoloso per noi bambini arrampicarci sulle scale arrugginite e fredde del campanile), le passeggiate a Fonte Tettone per rifornirci di acqua di montagna, le mille piccole riparazioni che faceva sotto l’occhio vigile di noi bambini, le spiegazioni “semplici” dei misteri della fede e delle piccole devozioni tradizionali di Miglianico. A lui debbo, per esempio, il fatto che non mi formalizzassi troppo sul digiuno eucaristico: una sera della Novena di Natale non vedendomi mettermi in fila per la comunione si fece una risata dopo che gli confessai che erano passati “solo 56 minuti” da un cioccolatino mangiato prima di andare in chiesa (e il digiuno eucaristico durava un’ora). Lui mi fece “credito” all’acquisto della mia prima bibbia, quella di Gerusalemme, che allora (era il 1991) costava 52 mila lire, un’enormità per quei tempi, soprattutto per uno studente di 16 anni come me, da poco “promosso” catechista parrocchiale.

I miei sono ricordi sparsi e confusi, ma a Trentino ho voluto molto bene e lui ne ha voluto a me: a confermarlo, i saluti calorosi che mi riservava quando passavo sotto casa sua, lui sempre seduto sul balcone, nelle passeggiate solitarie che sono solito fare le sere d’estate per il mio paese.

Ora sarà già in Paradiso e tornerà a trovare don Vincenzo, a cui – unico fra tutti – dava del tu e che si permetteva anche di contraddire, sempre in maniera bonaria ed intelligente.

Riporto qui anche il ricordo di Maurizio Adezio, pubblicato sul sito “Viva Miglianico”:

 

C’è sempre un segno della volontà divina anche negli eventi più piccoli, quelli che per molti sono addirittura inesistenti, o al più insignificanti e trascurabili.

Il Buon Dio per chiamare alla vita eterna il nostro Trentino – così come lo abbiamo sempre chiamato, meravigliandoci che avesse un altro nome di battesimo – ha scelto il giorno della conversione di San Paolo, evento di straordinaria importanza nella storia del cristianesimo, giorno carico di particolare benedizione e potenza nel quale, secondo un’antica tradizione abruzzese, nascevano gli uomini che potevano affrontare i lupi.

Trentino è stato da sempre, per noi che viviamo in questa comunità locale, il sacrestano. E’ stato l’ultimo sacrestano di Miglianico, che così perde per sempre questa figura umile ma importante. Nessun giornale si occupa di questi personaggi. Non ci sono cerimonie e anniversari; non ci sono intitolazioni toponomastiche per i sacrestani. Chi non sa neppure cosa fosse il sacrestano non può capire quanto e con quali qualità Trentino è stato invece parte importante della nostra vita.

Marito, padre e nonno attento e affettuoso, nella quotidiana semplicità delle sue attività, che non conoscevano feste e ferie, Trentino è stato anche l’amico, l’esperto, la presenza per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di crescere all’ombra del campanile. Ma è stato il riferimento fisico, la figura certa della presenza delle attività parrocchiali, anche per tutti gli altri, per coloro che l’intercettavano solo per occasioni particolari, come matrimoni, funerali, comunioni e cresime.

E’ stato tanto, un tanto che è ancor più grande se si raffronta al fatto che lui non rivestiva uno di quei ruoli che hanno in sé autorità o preminenza ma solo servizio, anonimo e senza gerarchia.

E’ stata la presenza. Chi va nella stanza dei ricordi, se rivede fatti, accadimenti anche piccoli episodi vissuti in chiesa, trova Trentino che prepara, che mette a posto, che fa trovar pronta ogni cosa, che gira col piattino per la questua, che serve le Sante Messe feriali e quelle dove i chierichetti non c’erano. Nei ricordi immortalati delle foto sbuca fuori quel viso inconfondibile, quella figura solerte e silente che tiene la brocca dell’acqua presso il fonte battesimale, che tiene il piattino con le fedi o sistema il registro per le firme dietro la balaustra che segnava il limite del presbiterio, che agita lentamente il turibolo per incensare un feretro.

Ecco Trentino c’è sempre stato: è come se ci avesse battezzati e sposati tutti. E’ stato l’unico sempre presente ai funerali dei nostri cari.

Anche chi non lo vede nei ricordi e nelle immagini fotografiche ancora lo sente in modo specialissimo: sente le campane, i richiami tristi e festosi che risuonavano dal campanile, riascolta i rintocchi di metà pomeriggio a “un’di n’ore”, rivive la magia delle “tattavelle” che facevano rimbombare vie e vicoli nei giorni del silenzio, quelli delle campane legate, quando le lunghe corde venivano ritirate sulla cella campanaria. E’ stati lui, Trentino, ogni giorno, per tanti e tanti giorni, il direttore e l’autore di quei suoni che hanno scandito la vita dei Miglianichesi.

Trentino era l’esperto, abile nei mille mestieri e nelle arti che tengono in efficienza una chiesa. Per noi, ragazzi e giovani, è stata la soluzione ai piccoli problemi che nascevano nella realizzazione del presepe, nell’allestimento di qualche scena per il teatro, nel sistemare gli strumenti quando c’erano le messe beat, nel rinnovare il tavolo da pingpong o il biliardino, i giochi del nostro stare insieme, di uno stare insieme che è durato gli anni e i decenni di tanta gioventù miglianichese. E’ stato lui a far belle di velluto rosso le sedie dell’altare, a realizzare le imbottiture degli inginocchiatoi dei nuovi banchi, a far tante di quelle cose che hanno fatto e fanno ancora il decoro della Chiesa, cioè di San Michele Arcangelo. Quello, questo era il suo mondo. Trentino è stato spalla inscindibile di don Vincenzo, lettore esperto del suo carattere, interfaccia indispensabile in certi rapporti quotidiani, aiuto concreto nelle tantissime cose che il nostro indimenticato parroco ha fatto, ma anche suggeritore, saggio e discreto, di piccole soluzioni che hanno contribuito alla vita della nostra comunità.

Uscivano, tutti e due, una volta l’anno per le benedizioni delle case. Solo allora sembrava che li si vedesse insieme fuori dal loro mondo. Poi era la passione per la montagna a farli incontrare nei luoghi della serenità e dei pochi momenti di riposo.

Per don Vincenzo e per Trentino vale la riflessione di Leonardo da Vinci: “una vita bene spesa lunga è”.

Trentino, nei tanti giorni che il buon Dio gli ha concesso di vivere, ha reso la sua vita ancor più lunga spendendola anche come amico.

Così lo ricordiamo nelle tantissime ore trascorse nella casa parrocchiale o in chiesa e poi in cripta, crescendo nella serenità e nella condivisione del tempo e dell’amicizia. Trentino ha insegnato a servir Messa a generazioni di bambini e ragazzi, e poi anche alle bambine che don Vincenzo volle avvicinare al servizio liturgico. Ci ha insegnato con pazienza a far il nodo ai cordoni, a trovare i vestiti, ad aiutare il celebrante nella vestizione e nel togliere i paramenti sacri dopo e celebrazioni, a metterci in fila per le processioni. Ci ha responsabilizzato nel ricaricare l’orologio del campanile, facendoci salire fin sotto la cuspide e facendo girare a noi la manovella dei cigolanti argani che reggevano quei pesi. Ci ha insegnato a suonare le campane, a dar loro il movimento e a fermarle senza volare attaccati a quelle corde. Suonare le campane: è un’emozione che non si dimentica, soprattutto quando si è suonato a festa nelle notti sante di Natale e di Pasqua, tutti insieme sulla cella campanaria vibrando insieme ai sacri bronzi. Chi di noi ha vissuto quell’emozione l’assocerà per sempre al ricordo di Trentino.

Nel seguirci, nel suo fare quotidiano, negli incontri della vita comune, anche dopo il suo pensionamento, Trentino ha sempre avuto una luce di grande vivacità negli occhi, un’energia vitale che esprimeva un carattere speciale. Quella luce la si intercettava anche in questi ultimi anni, quando, pronto al saluto, era seduto con altri indimenticabili amici sulla panchina davanti casa sua, una panchina ormai sempre più vuota, simbolo di un tempo che sta passando lasciandoci buoni esempi e bei ricordi.

La luce di quegli occhi, quella teoria di giorni senza soste nel servizio ritmata da tante piccole cose, la sua amicizia, speciale e disinteressata, dedicata a generazioni di giovani miglianichesi, son le cose bellissime che restano con noi.

Un suono di campane tirate a mano, richiamo della fede di un popolo, solleva dolcemente Trentino verso la luce dell’eternità. Lo accompagna, tardivo ma sincero, il nostro “grazie”, quel grazie che avremo dovuto dirgli ogni giorno dei suoi tanti giorni vissuti insieme a noi, come servitore della nostra Comunità, il grazie che tanto ha meritato ma che non gli abbiamo mai detto.

Ciao, Trentino. Che Dio Ti benedica!

 

Ciao Trentino!

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