Un allarme sociale fortissimo nell’ultimo libro di Samanta Di Persio, “Imprenditori suicidi”
Ho conosciuto Samanta Di Persio, scrittrice abruzzese, al Festival delle Letterature dell’Adriatico dello scorso novembre: ero il moderatore del dibattito attorno al suo libro, drammaticamente crudo e documentato, “Morti bianche”, che ha messo insieme tante storie vere di incidenti sul lavoro, una delle piaghe che distinguono in negativo il nostro Paese. Il dibattito sulla realtà raccontata e sulla necessaria (ma insufficiente) prevenzione è stato molto acceso e partecipato, anche perché il libro era stimolante e ben scritto. Per questo, quando in questi giorni è uscito il nuovo scritto di Samanta, ho avuto l’opportunità di vederlo, poi anche di leggerlo e recensirlo, anche perché tratta di un argomento ancora scottante, che ho seguito con particolare attenzione, sulla scia dell’iniziativa lanciata l’anno scorso da Oscar Giannino su Radio24: i suicidi dei piccoli imprenditori italiani, strozzati dalla crisi ed ancor di più da uno Stato che è inflessibile quando pretende tasse e balzelli ma è inadempiente quando è lui a dover pagare.
La recensione uscirà domani su Intercity Magazine, il quindicinale di musica, teatro, arte e cultura che dirigo, ma mi piace condividerla anche qui per l’importanza del tema e per dare il giusto spazio a tutta l’intervista che ho fatto all’autrice, “tagliata” per ragioni di spazio sulla rivista cartacea.
Imprenditori suicidi. Il collasso delle imprese italiane
Il nuovo libro di Samanta Di Persio scava nel disagio drammatico della crisi economica // Antonello Antonelli
Nel 2009 la crisi economica mordeva ma dal Governo arrivavano messaggi rassicuranti sulla tenuta dell’Italia, mentre c’era chi ogni mattina si alzava per aprire i cancelli della propria impresa e si rendeva conto che la situazione economica ristagnava, gli ordini dei clienti non arrivavano; al pari, chi si alzava per andare a lavorare si ritrovava d’improvviso in cassa integrazione gran parte della settimana o del mese. Questo è lo scenario in cui Samanta Di Persio, scrittrice abruzzese che ha trovato fama e notorietà con il suo volume “Morti bianche”, presentato anche al Festival delle Letterature dell’Adriatico, ha lavorato per il suo nuovo libro, ancora più crudo del precedente, dal titolo “Imprenditori suicidi”. L’abbiamo incontrata proprio mentre su Amazon la sua fatica letteraria è entrata nella top ten.
Hai compiuto un vero e proprio “giro d’Italia” incontrando imprenditori in difficoltà, molti dei quali hanno avuto sbattute le porte in faccia dalla burocrazia, dalla politica, dalle banche. Qual è il sentimento più diffuso che hai riscontrato in loro?
Molti piccoli imprenditori, disoccupati hanno scritto alle massime cariche istituzionali per raccontare il loro disagio dopo il silenzio delle associazioni di categoria, dei sindacati. C’è molta disperazione accentuata dal fatto che chi dovrebbe dare delle risposte in realtà tace. Il sentimento che lega il Nord al Sud è la rabbia. Rabbia perché i piccoli imprenditori non si sono sentiti rappresentati in questi anni, nonostante producessero una quota determinante del prodotto interno lordo. I disoccupati si rivolgono ai centri per l’impiego e questi non sono in grado di offrire lavoro. E’ un sistema che ha fallito e per cercare di rimediare agli errori di chi ha ricoperto incarichi di rilievo alcuni piccoli imprenditori hanno fondato dei movimento alternativi come ImpreseCheResistono. Cittadini che si incontrano, si confrontano e fanno delle proposte. Molti di coloro che ho intervistato hanno deciso di fare un passo avanti e si sono candidati per le prossime elezioni politiche. Altri non hanno deciso di attivarsi in prima persona, ma aprono blog, raccontano le loro esperienze e danno consigli per non fallire, per non fare cattivi pensieri.
Nelle testimonianze che presenti nel libro, si sente tanto amore per il proprio lavoro e per la nostra Italia, anche nelle storie che si riferiscono ad immigrati che hanno scelto il nostro Paese per vivere e lavorare, nonostante tutto. È l’Italia che è matrigna o gli italiani sono ingenui?
L’Italia ha la fortuna di avere il mare, le montagne, un clima mite, vigneti, prodotti tipici: caratteristiche che possono solo far amare agli italiani e agli immigrati questa terra. In molti hanno pensato di abbandonare il Paese perché ormai offre poco o niente. Ma perché bisogna lasciare le proprie origini? In fondo la colpa non è di chi paga le tasse, lavora onestamente e rispetta la legge. Ed invece sembrerebbe che in un certo senso in Italia viene premiato chi è “cattivo”. L’imprenditrice Verena Furia racconta di un accertamento della Guardia di Finanza per un’evasione che non c’è mai stata, ma siccome in Italia per fare ricorso si paga e la donna non aveva la possibilità economica, ha dovuto accettare una multa scontata (per un’evasione inesistente). Giustamente Verena dichiara che se avesse evaso veramente 200mila euro avrebbe, come fanno tanti, a quest’ora avrebbe pagato nemmeno un quarto di quanto evaso. Di fatto chi è onesto in Italia vive male.
Un capitolo speciale è dedicato alla tua L’Aquila. A quasi quattro anni da terremoto del 2009, come è possibile vivere da piccoli imprenditori in una città che è ancora sostanzialmente militarizzata? Cosa chiedono gli aquilani alla politica?
Nel XXI secolo L’Aquila resterà alla storia per l’incapacità di tornare com’era prima. La classe politica ha ovviamente una fetta importante di responsabilità. Le inchieste della magistratura che sono state avviate dopo il terremoto hanno dimostrato che molti appalti sarebbero stati vinti non per meriti, ma a causa di mali annosi: clientelismo, corruzione. Il terremoto nella sua tragicità poteva essere un punto di partenza per il lavoro. Molti hanno perso la propria attività, altri hanno tirato avanti nella speranza di una ripresa ed altri ancora pur avendo voglia di riaprire non hanno avuto i permessi dal comune. Cosa si chiede? Sostanzialmente più attenzione alle esigenze della popolazione. In questi giorni è uscita la notizia di un centro commerciale sotto Piazza Duomo, le statistiche ci dicono che i centri commerciali sono la morte del commercio, spesso sono frutto di riciclaggio di denaro, in una città dove le piccole imprese edili non lavorano e/o hanno chiuso, i cittadini sono ancora senza casa e non hanno notizia di quanto potranno rientrarvi, come soluzione diamo tre piani sotto il centro storico? Spesso quando mi pongo delle domande chiedo ai bambini le opinioni perché sono dei grandi osservatori ed ingenuamente ma saggiamente loro alla domanda “Cosa vorresti per la tua città?” loro rispondono “Quello che c’era prima” ed è in fondo quello che vorrebbe ogni adulto.