Il diritto di cronaca va sempre salvato: un’altra sentenza della Corte Europea in favore del segreto professionale

Una delle domande “trabocchetto” (a pensarci bene mica tanto) degli esami professionali (ma a volte la poniamo anche noi quando facciamo sostenere il colloquio di deontologia agli aspiranti pubblicisti) è quella relativa al segreto professionale: “Se un giudice ti obbliga in un processo a rivelare la fonte della tua notizia, tu la riveli?”. La risposta, spesso intimidita dal tentativo di calcare la mano sulle possibili conseguenze del rifiuto, è uno strascicato e sofferto “no”, nonostante la forza delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo (a partire dalla celeberrima “sentenza Goodwin”) che hanno sempre affermato la preminenza del diritto di cronaca. 

Recentemente, una nuova sentenza ha riconfermato questo orientamento: è il caso “Martin contro Francia”, raccontato e commentato in un breve ma esauriente intervento di Marina Castellaneta, rilanciato dal sito dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani (Unci), organizzazione di cui anch’io faccio parte.

A Strasburgo – così sintetizza Castellaneta la vicenda – si erano rivolti quattro giornalisti di un quotidiano francese che avevano pubblicato un resoconto di documenti della Corte dei Conti che riportavano anomalie nell’amministrazione di fondi pubblici compiute da un ex governatore regionale. Quest’ultimo aveva agito contro i giornalisti sostenendo che era stato leso il suo diritto alla presunzione d’innocenza anche perché erano stati pubblicati brani di documenti secretati. Il giudice istruttore aveva ordinato una perquisizione nel giornale con il sequestro di supporti informatici, agende e documenti annotati. Per i giornalisti non vi era stato nulla da fare. Di qui il ricorso a Strasburgo che invece ha dato ragione ai cronisti condannando la Francia per violazione del diritto alla libertà di espressione (articolo 10 della Convenzione).

Perché questa sentenza, che sembra contraddire anche la nostra legislazione nazionale sul segreto istruttorio? Così spiega bene l’orientamento della Corte di Strasburgo Castellaneta:

 

Per la Corte la protezione delle fonti dei giornalisti è una pietra angolare della libertà di stampa. Le perquisizioni nel domicilio e nei giornali e il sequestro di supporti informatici con l’obiettivo di provare a identificare la fonte che viola il segreto professionale trasmettendo un documento ai giornalisti compromettono la libertà di stampa. Anche perché il giornalista potrebbe essere dissuaso dal fornire notizie scottanti di interesse della collettività per non incorrere in indagini. È vero – osserva la Corte – che deve essere tutelata la presunzione d’innocenza, ma i giornalisti devono informare la collettività. Poco contano – dice la Corte – i mezzi con i quali i giornalisti si procurano le notizie perché questo rientra nella libertà di indagine che è inerente allo svolgimento della professione. D’altra parte, i giornalisti avevano rispettato le regole deontologiche precisando che i fatti riportati erano ricavati da un rapporto non definitivo. Giusto, quindi, far conoscere al pubblico le informazioni in proprio possesso sulla gestione di fondi pubblici.

 

Insomma, la delicatezza della nostra professione e la necessità di non essere intimiditi da alcun tipo di potere in caso si detengano notizie di estremo interesse pubblico fanno sì che anche il segreto istruttorio abbia un’attenuazione.

Certo, ultimamente il giornalismo, specie quello nostrano, non brilla per capacità di indagine e di inchiesta, quindi la sentenza della Corte di Strasburgo (che, tra l’altro, indica i criteri ai quali anche i giudici nazionali devono attenersi nella tutela del segreto professionale dei giornalisti per non incorrere in una violazione della Convenzione e in una condanna dello Stato) potrebbe essere un esercizio esclusivamente letterario per la stragrande maggioranza dei colleghi. Tuttavia, come può essere libero di indagare ed approfondire un giornalista che percepisce pochi euro lordi per il suo lavoro?

Proprio oggi, giornata mondiale della libertà d’informazione, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, ha postato sul suo profilo Facebook una riflessione simile:

 

Si può essere liberi quando si viene pagati due euro o pochi spiccioli in più ad articolo? Raccontatelo in giro, vi prego. I più credono che i giornalisti guadagnino migliaia di euro al mese. Guardate le facce di chi vi ascolta. Pensano li stiate prendendo in giro. Quando capiscono che dite sul serio, vi guardano … Lasciamo perdere. No, non si uccide la libertà di informazione solo sparando, lo si fa anche tenendo in condizione di bisogno permanente chi dovrebbe garantire ai cittadini quel diritto che è previsto dall’articolo 21 della Costituzione. E’ una riflessione per la giornata mondiale a difesa di questa libertà e giorno di memoria per i giornalisti uccisi dalla criminalità o dal terrorismo.

 

Noi lo raccontiamo. Non smettiamo di farlo. Almeno finquando questa situazione non cessa di verificarsi.

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