Il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia si inaugura con i precari

Purtroppo non c’ero: sebbene mi fossi preparato, in coordinamento con tutti i colleghi precari d’Italia chiamati a dare vita ad una mattinata che non esito a definire “storica”, le esigenze lavorative di addetto stampa mi hanno fatto saltare l’atteso appuntamento di oggi a Perugia, dove il Festival Internazionale del Giornalismo si è aperto con i precari e le loro esigenze.

Un risultato importante, quasi “storico”, per chi appena un anno fa era ancora un fantasma nel panorama italiano dell’informazione. 

Nella Sala Notari a Perugia c’erano tutti i coordinamenti territoriali dei precari, c’era il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, sempre vicino alle tematiche del precariato giornalistico, c’erano colleghi famosi e meno famosi, tutti però con lo sguardo fisso alla Carta di Firenze e alla (speriamo in arrivo) legge sull’equo compenso, che sono i due pilastri su cui il riscatto dei precari dell’informazione potranno risalire la china.

Anche Cinqueuronetti, la nostra rete dei precari abruzzesi, c’era, grazie alla disponibilità e alla abnegazione di Valentina De Cesare, che ha portato la voce, ancora piccola, ma non certo meno agguerrita, dei colleghi dell’Abruzzo.

Una mattinata anche abbastanza produttiva se addirittura il collega Stefano Tesi, che era tra i relatori, nonostante il suo giusto e tradizionale disincanto, ne ha tracciato una sintesi dai tratti anche positivi in un post “in diretta” del suo blog.

Tuttavia, per capire fino in fondo il tenore dell’evento, sarebbe bene riascoltarselo tutto, grazie ai filmati integrali presenti sul sito del festival.

Questa è la prima parte del meeting del giornalisti precari

 

 

 

E questa è la seconda:

 

 

 

Tra i documenti presentati nella mattinata di Perugia, ritengo sia da segnalare quello presentato congiuntamente dai tre freelance eletti nella Commissione contratto Fnsi-Fieg, Maurizio Bekar. Maria Giovanna Faiella e Laura Viggiano:

 

Riforma del mercato del lavoro e… prossimo contratto

Quale spazio per collaboratori, precari e freelance?

Primi spunti di riflessione dei rappresentanti dei giornalisti “autonomi” in Commissione nazionale contratto Fieg-Fnsi (Maurizio Bekar, Maria Giovanna Faiella e Laura Viggiano)

 

Negli ultimi anni la deregulation selvaggia anche nel settore giornalistico ha relegato in una classe di “paria”, poco o per nulla protetti, i giornalisti precari (con contratti a termine) e i collaboratori autonomi che lavorano fuori dalle redazioni (con collaborazioni coordinate e continuative, occasionali, con partita Iva o con cessione di diritti d’autore) ma sono spesso, di fatto, in condizioni di dipendenza sostanziale dall’azienda.

 

Per loro nessuna tutela contro il licenziamento e contro la reiterazione dei contratti a termine, che può avvenire all’infinito; orario di lavoro senza limiti; nessun diritto alle ferie annuali né alla malattia; esclusi dall’applicazione del contratto collettivo giornalistico e senza retribuzioni minime garantite. Una flessibilità distorta, che ormai riguarda più della metà dei giornalisti italiani. Pur ricoprendo un ruolo fondamentale nella realizzazione del prodotto informativo e garantendo ai cittadini un bene primario come l’informazione, sono costretti a lavorare ormai in condizioni di precariato a vita, spesso ai limiti della sopravvivenza, che offendono la dignità personale, prima che professionale.

 

Insomma, quasi un “non costo” per le aziende editoriali che tendono a sostituire i dipendenti con gli esterni alle redazioni. Inoltre, quando le testate chiudono o sono in stato di crisi, come accade sempre più spesso, i primi a essere “dismessi” sono loro, che non possono beneficiare nemmeno di ammortizzatori sociali. Condizioni ormai non più sostenibili che, tra l’altro, rendono i giornalisti più vulnerabili, in quanto più facilmente oggetto delle pressioni degli editori, con ripercussioni sulla qualità dell’informazione, e quindi sulla democrazia.

 

 

QUADRO NORMATIVO INADEGUATO

 

La contrattazione collettiva sul lavoro autonomo è sempre stata respinta dagli editori, che preferiscono tenere le mani libere rifacendosi all’art. 2222 del codice civile (collaboratore esterno, che esercita l’attività in modo autonomo e indipendente) e all’art. 1321 C.c. (sul contratto individuale, che è “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”). Glielo consentono anche le scarse tutele esistenti a livello legislativo sul lavoro autonomo professionale.

 

Uno spiraglio per la contrattazione collettiva potrebbe esserci con l’art. 8 (sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità) del Decreto legislativo n. 138/2011, approvato ad agosto, la cosiddetta manovra bis.

 

Tra gli oggetti della contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale) sono previste anche le collaborazioni coordinate e continuative e le partite Iva. L’articolo in questione prevede che questi contratti abbiano efficacia erga omnes, ovvero nei confronti di tutti i lavoratori interessati.

 

 

RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

 

Il disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro, attualmente in discussione in Parlamento, potrebbe fornire qualche strumento normativo in più per avere maggiori tutele economiche e giuridiche.

 

Tra gli obiettivi del disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro c’è quello di “contrastare l’uso improprio e strumentale della flessibilità progressivamente introdotta nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali”. Sembra che alcune proposte contenute nel disegno di legge non possano essere estese al lavoro giornalistico, come per esempio il lavoro a progetto.

 

 

ANCORA COCOCO?

 

Il decreto legislativo n.276/2003, la cosiddetta legge Biagi, prevede l’esclusione dei giornalisti dall’applicazione della normativa sui co.co.pro., in quanto esercitano una professione intellettuale per l’esercizio della quale è necessaria l’iscrizione a un albo professionale. Ai giornalisti, quindi, si possono fare co.co.co, anche senza progetto, senza alcuna specifica garanzia. Ma il co.co.co. è una prestazione di lavoro di natura ibrida a livello legislativo, ovvero definita “parasubordinata”: se pure inquadrata nel lavoro autonomo, contiene due requisiti come la continuità e la coordinazione, che sono tipici del lavoro subordinato.

 

Inoltre, l’art. 63 del decreto legislativo stabilisce che il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto, i co.co.pro., deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. Da questa previsione sono esclusi i co.co.co., e quindi i giornalisti.

 

 

RIPRISTINARE LA “NOSTRA” FLESSIBILITÀ

 

Proponiamo l’abolizione della figura del collaboratore continuato e continuativo che, nel nostro settore, può essere sostituito da figure professionali già esistenti. A livello legislativo, si potrebbe prevedere, in particolare, il ricorso a contratti atipici soltanto quando mancano indicazioni specifiche nei contratti collettivi nazionali di categoria.

 

I giornalisti, infatti, la flessibilità “buona”, cui si tende, già ce l’hanno. Il contratto collettivo di lavoro giornalistico prevede figure come quelle del collaboratore fisso (art. 2) e del corrispondente (art. 12) che, pur svolgendo il loro lavoro con assoluta flessibilità negli orari, nelle prestazioni e nei compensi, sono comunque inquadrate come rapporti di lavoro subordinato, con tutele di legge e di contratto (stabilità, malattie, ferie, tredicesima mensilità, maturazione del TFR).

 

Potrebbero essere previsti forti sgravi fiscali per le aziende che trasformeranno i Co.co.co e le false partite Iva in art. 2.

 

 

CONTRATTI A TERMINE

 

Nel disegno di legge c’è il tentativo di limitarli, stabilendo che non si possono avere contratti a termine per più di 36 mesi con la stessa azienda nel corso del tempo. Ma alla scadenza dei 36 mesi (che possono essere dilazionati nel corso degli anni, per esempio: assunzione per 20 mesi ora e per 16 mesi tra 10 anni) l’azienda potrebbe comunque trovare l’escamotage per mettere alla porta il lavoratore, senza trasformare il rapporto in contratto a tempo indeterminato. Vanno quindi introdotti meccanismi più restrittivi che impediscano di bypassare le norme. Per disincentivare i contratti a termine, poi, occorrerebbe non solo l’aumento del costo contributivo (peraltro quello previsto è contenuto, appena dell’1,5%) ma anche quello remunerativo.

 

Inoltre, si pongono altri problemi riguardo alla modifica di alcuni termini di impugnazione dei licenziamenti regolati dalla legge sul “Collegato lavoro”, che risultano ulteriormente peggiorativi.

 

 

VERE O FINTE PARTITE IVA

 

Sebbene sia positiva la trasformazione delle finte partite Iva (se esistono i requisiti della collaborazione con durata complessivamente superiore ad almeno 6 mesi nell’arco dell’anno solare e il corrispettivo derivante da tale collaborazione sia superiore al 75% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare e se il collaboratore dispone di una postazione di lavoro presso una delle sedi del committente), c’è il rischio che potrebbe essere ridimensionato il lavoro commissionato nel corso dell’anno. Resta da capire meglio il requisito della postazione di lavoro, visto che di fatto i giornalisti utilizzano il telelavoro

 

Non è poi chiaro il passaggio sull’eventuale trasformazione dei rapporti anomali di partita iva in contratti a progetto. Non essendo previsto per i giornalisti il contratto a progetto, ma solo quello di collaborazione coordinata e continuativa, si rischia che la trasformazione in contratto a tempo indeterminato non valga per i giornalisti.

 

 

EQUO COMPENSO

 

A tutela della dignità professionale è auspicabile la rapida approvazione della proposta di legge sull’equo compenso per il lavoro “non dipendente” – attualmente in discussione al Senato – che, avendo come riferimento l’art. 36 della Costituzione, afferma all’art. 1, comma 2: “Ai fini della presente legge, per equità retributiva si intende la corresponsione di un trattamento economico proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, in coerenza con i corrispondenti trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti e pubblicisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato”.

 

Per rafforzare quest’articolo, proponiamo di aggiungere: “Qualsiasi accordo migliorativo definito dalle parti sociali sarà da ritenersi vincolante e parte integrante del Contratto collettivo nazionale di lavoro”.

 

 

QUALE WELFARE

 

Per contrastare la deregulation selvaggia di questi anni servono norme che, oltre a riferimenti retributivi inderogabili, individuino anche garanzie minime previdenziali e assistenziali.

 

La decisione di aumentare l’aliquota previdenziale – senza peraltro alcuna prospettiva di percepire in futuro una pensione dignitosa – rischia di incidere ancora una volta sugli autonomi che vedranno il proprio reddito nuovamente tagliato, se non si pongono seri paletti.

 

Inoltre, la “nuova” assicurazione sociale (ASPI) è praticamente inaccessibile a chi svolge un’attività autonoma ed anche ai co.co.co. Come mancano del tutto ammortizzatori sociali peri lavoratori autonomi che perdono il lavoro, negli stati di crisi e di ristrutturazione.

 

È quindi auspicabile un tavolo di concertazione tra editori, Inpgi e governo, per prevedere, tra l’altro, anche una sorta di fondo/tesoretto di solidarietà che permetterebbe di erogare ai giornalisti in difficoltà, in caso di discontinuità del lavoro o di malattia, una sorta di minireddito (tra l’altro dibattuto anche in Commissione europea) o prestiti a tasso zero.

 

E ora… ci vogliono tante altre Perugia, fino a quando il problema dei precari, degli autonomi, dei freelance, dei collaboratori non sarà definitivamente affrontato, proprio con il riconoscimento all’interno del Contratto collettivo nazionale di lavoro.

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