Riforma delle professioni: al giornalismo si accederà (anche) tramite università?

Da giorni si parla del cosiddetto “decreto sulle liberalizzazioni” a cui sta lavorando il Governo presieduto da Mario Monti e sui mezzi di informazione si rincorrono voci e ipotesi sul contenuto del provvedimento e, in particolare, sto seguendo il dibattito sulla riforma delle professioni, che dovrebbe investire anche l’Ordine dei Giornalisti, già alle prese con il problema dell’elenco dei pubblicisti.

Stamattina, però, grazie ad una segnalazione del collega Gabriele Testi, si è affacciato sulla rete il primo testo formale, una bozza di lavoro probabilmente, del decreto che sarà portato in Consiglio dei Ministri il prossimo 20 gennaio. 

Alle professioni è dedicato l’intero Capo III del decreto, gli articoli da 7 a 12: ovviamente non si parla in specifico dell’Ordine dei Giornalisti ma di tutte le professioni regolate da un Ordine professionale.

L’articolo più interessante e meritevole di commento è il 9:

 

Art. 9
(Accesso dei giovani all’esercizio delle professioni)
1. All’articolo 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168, dopo il comma 3, è inserito il seguente: “ 3 bis. Le università possono prevedere nei rispettivi statuti e regolamenti che il tirocinio ovvero la pratica, finalizzati all’iscrizione negli albi professionali, siano svolti nell’ultimo biennio di studi per il conseguimento del diploma di laurea specialistica o magistrale; il tirocinio ovvero la pratica così svolti sono equiparati a ogni effetto di legge a quelli previsti nelle singole leggi professionali per l’iscrizione negli albi. Sono esclusi dalla presente disposizione i tirocini per l’esercizio delle professioni mediche o sanitarie. Resta ferma la durata massima dei tirocini prevista dall’articolo 33, comma 2 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214”.

 

A leggere il testo nella sua lettera, mi sembra la traduzione normativa della mia proposta di qualche settimana fa: quella cioè, in caso si voglia davvero giungere alla professionalizzazione della categoria (da me fortemente auspicata e sostenuta), di prevedere un percorso universitario ordinario (non speciale e costoso come un master post-laurea) per l’accesso alla professione.

Se il testo dell’articolo 9 rimanesse, dopo i passaggi parlamentari, così come lo si legge, al tradizionale praticantato, già ormai desueto e pochissimo utilizzato per i costi che ne derivano agli editori, e al praticantato come freelance (introdotto con l’interpretazione normativa dell’articolo 34 della legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti), più accessibile, ma comunque difficile da raggiungere soprattutto per i paletti di natura economica, si affiancherebbe il praticantato-tirocinio in università, attraverso facoltà dedicate il cui ultimo biennio deve essere orientato alla pratica.

Chi mi conosce sa che non ho mai visto di buon occhio un percorso totalmente universitario per giungere all’iscrizione all’Ordine, ma nel ridisegno complessivo dell’accesso alla professione, che credo sia sotteso a tutti i decreti che si stanno succedendo, è un buon compromesso per garantire un mestiere svolto solo dai professionisti che si qualifichino sia dal punto di vista professionale, sia dal punto di vista culturale. Ovviamente, nella traduzione in pratica di questo corso universitario, occorrerà tenere conto di un congruo periodo di pratica “reale”, sulla strada, nelle redazioni, a contatto con il “mestiere”: e qui penso che gli Ordini regionali possano avere un ruolo di grande importanza.

A questo punto, sarebbe davvero urgente solo confrontarsi con il Governo circa il destino dei pubblicisti: se attivare l’elenco ad esaurimento, soluzione di compromesso che salvaguarderebbe sia le casse dell’Ordine sia le posizioni previdenziali aperte all’Inpgi (oltre che lo stesso equilibrio dei conti), se prevedere una normativa transitoria per quei pubblicisti che svolgano la professione in via esclusiva o prevalente per permettere loro di accedere al praticantato, se avviare una revisione generale dell’elenco pubblicisti.

Una cosa mi pare evidente, visti gli atti del Governo: dal 14 agosto non ci sarà più spazio per la figura professionale dei pubblicisti. Questa ovviamente è una interpretazione, non il Vangelo (per evitare allarmismi del tutto fuori luogo).

Aspettiamo con ansia il Consiglio Nazionale del 18, 19 e 20 gennaio prossimi per conoscere le opzioni che l’Ordine proporrà al Governo. Intanto, ci sarà ancora spazio per approfondire le altre norme liberalizzatrici del decreto in arrivo e per dibattere del futuro della professione.

2 commenti

  • personalmente non condivido la Tua tesi ma la rispetto, io per esempio con un amico abbiamo gia’ fatto un anno con relativi contributi per ottenere il tesserino di pubblicista.Ho perso quindi tempo ? Credo che coloro che non lo fanno come professione primaria non siano da penalizzare, conosco tanti giornalisti di testate locali che non dispongono neanche del tesserino minimo , sono bravissimi , cosa faranno ?
    E i Pubblicisti attuali cosa faranno?

    • Antonello Antonelli

      Purtroppo, la legge va applicata, anche quando non ci piace. Tuttavia, questo intervento intempestivo del Governo permetterà, a mio parere, di rimettere un po’ a posto le cose in un settore davvero complesso e pieno di incoerenze. Aspettiamo il Consiglio Nazionale dell’Ordine del 18-20 gennaio per sapere cosa si proporrà per gestire la fase transitoria. Dopo si potranno formulare ipotesi più concrete.

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