Arrivano i primi attacchi alla Carta di Firenze. Dai pensionati, of course!
A nessuno piace constatare di essere stato facile profeta: nel mio intervento dal palco di Firenze i toni più concitati li avevo riservati ai pensionati Inpgi (e non) che continuano a lavorare indisturbati nelle redazioni, riducendo drammaticamente lo spazio per l’ingresso dei precari e dei giovani. Dall’intensità dell’applauso ricevuto ho ricavato che era un tema sentito, che poi ho ripetuto sia nelle interviste che mi hanno fatto successivamente, sia negli interventi che mi hanno chiesto per iscritto. Ebbene: da chi viene il primo, concreto, attacco alla Carta di Firenze? Ma dai pensionati, naturalmente!
Per dirla parafrasando la collega Valeria Calicchio (che mi ha autorizzato la citazione): “L’unica categoria in cui i pensionati non condividono le lotte dei precari e dei disoccupati è quella dei giornalisti”.
Per i colleghi pensionati, secondo il pezzo uscito sul loro sito (linkato qui), la Carta di Firenze rappresenterebbe “l’ingresso dei Carabinieri in redazione” o peggio “il ricorso alla delazione come forma estrema di etica professionale”.
E questo perché? Perché la Carta di Firenze, in una delle sue proposizioni, impegna i colleghi a “vigilare affinché i giornalisti titolari di un trattamento pensionistico INPGI a qualunque titolo maturato non vengano nuovamente impiegati dal medesimo datore di lavoro con forme di lavoro autonomo ed inseriti nel ciclo produttivo nelle medesime condizioni e/o per l’espletamento delle medesime prestazioni che svolgevano in virtù del precedente rapporto“. Cioè una cosa sacrosanta!
Già in una memorabile assemblea del mio ordine regionale nel marzo 2009 ebbi uno scontro verbale con un blasonato collega pensionato che si lamentava delle limitazioni imposte dalla legge alla compatibilità di un contratto di lavoro autonomo con la pensione percepita e in quella sede sbottai: “Ma godetevi le vostre ricche pensioni d’oro e lasciate lavorare noi giovani”.
Oggi direi, in dialetto, commentando le brame dei giornalisti pensionati: “Nin z’abbòttene maje” (per i non abruzzesi: “non si riempiono mai (sottinteso la pancia)”).
Molti sono stati gli interventi di grande indignazione (giustificatissimi), come quello di Errori di Stampa, coordinamento dei precari romani, o le proteste apparse sulla pagina fan di Facebook del sempre battagliero coordinamento dei giornalisti precari campani, ma ho apprezzato l’equilibrio e la franchezza dell’intervento del collega Stefano Tesi sul suo blog, di cui riprendo alcuni passaggi.
Sono persuaso che, al limite, ci si possa accordare su una “concorrenza leale” dei pensionati sul piano della qualità (la loro esperienza e profonda conoscenza del mondo giornalistico e di tutto ciò che gli ruota attorno fa gola), e sul fatto che la sicurezza della loro pensione non può tradursi in una “svendita” del prodotto giornalistico che offrono, inquinando dunque il mercato e rovinando coloro che di giornalismo ci vivono (una situazione che mi ricorda una certa posizione dominante di qualcuno in Abruzzo che, garantendosi ricche commesse pubbliche, precipita ai minimi i prezzi per prestazioni giornalistiche che altri ovviamente devono far costare di più).
Tuttavia, su questo argomento in me prende il sopravvento la parte un po’ più “sovversiva” che mi fa sentenziare, come accadde nel marzo 2009: avete la pensione? Godetevela, anche perché è ricca ed abbondante, e non togliete spazi di lavoro a chi, precario, giovane, freelance, ha scelto questo dannato mestiere e lo fa con passione e professionalità. E che soprattutto una pensione non l’avrà mai, o comunque ridottissima (Stefano Tesi chiude il suo intervento con una battuta folgorante e purtroppo vera: “in un quarto di secolo di carriera, io un giornalista che sia andato in pensioneda freelance, cioè da libero professionista, non l’ho ancora conosciuto. Vorrà dire qualcosa?”).
Un’annotazione al vetriolo su una delle chiose dell’articolo sul sito dei pensionati. “Silenzio tombale, invece, della FNSI (almeno finora). Che fanno i “ragazzi” di corso Vittorio? Approvano in pieno l’azione dell’Ordine e se ne vanno tutti a casa? (cioè smettono di occuparsi dei precari)”. Se penso alla ramificazione territoriale abruzzese della FNSI, mi viene da dire: “Quando mai si sono occupati davvero dei precari?”.
I pensionati, infine, ventilano (o invocano?) l’intervento del Governo in materia di riordino… degli Ordini, che sarebbe, a mio parere, svantaggioso per tutti: tanto a loro che importa? Sono già belli e pensionati!
Piuttosto, vero è che la FNSI deve accelerare la ratifica della Carta di Firenze. Se entro il 16 dicembre non lo farà, gliene chiederò conto direttamente dal palco del Premio Polidoro, dedicato quest’anno ai precari e al documento fiorentino: il dibattito tra Ordine, Fnsi e rappresentanza dei precari della mattinata, infatti, sarà moderato da me.
Vi invito ad essere presenti numerosi (e non perché ci sono io!).