“Il giornalismo italiano? Politicizzato ed autoreferenziale”
«Apro i vostri giornali e non capisco: pagine e pagine di politica, dichiarazioni e prese di posizione. Poi cerco la pagina degli Esteri e vedo una rappresentazione ancora più parziale del mondo»: era da poco passata l’una di notte in un piccolo ristorante di Castelli, la splendida località montana del Teramano, nota soprattutto per le sue ceramiche (e in cui ho lavorato per un grande ufficio stampa internazionale nel 2007), e a tavola c’eravamo ritrovati io, l’amica e collega Simona Salvi, l’amico Leandro Di Donato, Tahar Lamri, intellettuale e giornalista algerino, e Zacharia Mohammed Alì, giovane giornalista somalo costretto a fuggire dal suo Paese a causa delle sue inchieste.
L’impietoso giudizio, più uno stupore che una critica, era di Tahar, che ormai da tempo vive in Italia, a Ravenna, ma non ancora riesce a comprendere la logica della “gerarchia delle notizie” nel nostro Paese. Davanti ad una bella pizza e ad un gelato, al termine della serata organizzata da Leandro per celebrare la Giornata del Rifugiato, la voglia di conoscersi meglio ci ha portato a parlare della nostra passione comune, il giornalismo. Solo che gli ospiti di Leandro non riuscivano proprio a capire come “funzionasse” in Italia.
«Ho girato il mondo – mi ha detto Tahar – per raccontare la difficile situazione in Algeria ma non ho mai visto l’interesse per la polemica politica che c’è in Italia. Mentre voi vi guardate l’ombelico, il mondo cambia. E purtroppo la cronaca estera è quella che è più zoppicante in assoluto in Italia: avete un concetto particolarmente ristretto di mondo ed ignorate praticamente tutto delle dinamiche dell’Africa, dell’Asia e del Sudamerica».
Zacharia è stato più silenzioso, non so se per la giovane età o per non contrariare il Paese che l’ospitava: tuttavia per lui, fuggito per quel che scriveva, era difficile capire come i giornalisti italiani fossero coccolati ed osannati di qua o di là. «Il mio maestro – ci ha detto – che è stato ucciso dai soldati delle milizie mi ha insegnato a scrivere quel che vedevo ed a capire quel che raccontavo. E questo dava fastidio. Il giornalista dà fastidio per definizione».
Non ho certo fatto un figurone nel tentare di fare l’avvocato difensore del giornalismo italiano, ma il compito più difficile al quale ho dovuto assolvere è stato quello di spiegare a Tahar ed a Zacharia cos’è l’Ordine dei Giornalisti. Ho tentato di tutto, ma proprio non riuscivano a capire l’essenza di un tale organismo e la sua utilità. Per loro la deontologia è scritta dentro ogni giornalista: pensare che qualcuno non se ne curi è assurdo, e nel caso «ci sono i tribunali».
La discussione è stata lunga, fino alle due e mezzo. Forse per capire il loro stupore dovrei vivere e fare questo mestiere, che per me rimane meraviglioso, per qualche anno all’estero.