Referendum: è ancora un esercizio di democrazia?
Dall’attivismo dei comitati referendari e dalla improvvisa, quanto tardiva, resipiscenza (obbligata) delle tv e dei mezzi d’informazione circa i referendum del 12 e 13 giugno, il tema della consultazione del prossimo fine-settimana si propone come centrale nel dibattito non solo politico, ma ormai anche quotidiano (basti pensare alle decine di inviti su Facebook, che a volte diventano anche fastidiosi se reiterati e simili). E questo è un bene.
Continuo a ritenere, a dispetto del titolo di questo post, che ogniqualvolta il popolo viene chiamato a pronunciarsi con il voto è una vittoria della democrazia, ancor di più quando la “chiamata alle urne” riguarda il referendum, unico strumento di democrazia diretta ammesso dal nostro ordinamento giuridico. Questo perché è il modo che hanno i cittadini di esprimere direttamente, su temi concreti, su leggi approvate, il proprio parere.
Sono comunque il primo a riconoscere l’abuso che si è fatto di questo strumento, che ha portato alla disaffezione per il referendum e alla sistematica mancanza del quorum nelle consultazioni referendarie degli ultimi quindici anni: non è possibile chiamare i cittadini a rispondere di temi iper-tecnici, molte volte lontanissimi dalle esperienze quotidiane di ciascuno. Così, si è impoverita la partecipazione e si è fatto ricorso ad un impari confronto nelle consultazioni referendarie: i comitati del sì si vedono opposti sia i sostenitori del no sia gli astensionisti abituali, stretti in un patto inconscio (almeno per i secondi) per far fallire il referendum. Invece, cioè, di confrontarsi sul merito delle questioni e dunque affrontare una battaglia ad armi pari (i voti), il far perno sull’astensionismo avvantaggia in maniera palese i sostenitori del no.
Personalmente, vedo il voto come un obbligo morale e l’espressione del mio parere attraverso di esso (anche il “no”) l’unico strumento per affermare la mia volontà. Non ho mancato mai un’elezione, tranne quella referendaria sulla procreazione assistita del 2005, dopo lunga riflessione e molte discussioni (quella decisiva con il mio vescovo, Bruno Forte). Non mancherò nemmeno stavolta, anche se non ho ancora pienamente deciso quale sarà il mio atteggiamento sui quattro quesiti
Nell’attesa, anche per schiarirmi le idee e dare una guida al voto (gli spot televisivi realizzati da Rai e Mediaset sono orridi e fatti per non rendere comprensibili i quesiti e la politicizzazione del voto fa parlare la maggioranza degli attori in campo solo mediante slogan), ho scritto un pezzo per il prossimo numero di “Intercity Magazine”, che sarà distribuito giovedì prossimo (e da mercoledì si potrà vedere sul sito), per presentare, con il massimo possibile della obiettività i temi oggetto di referendum.
Posso anticiparlo tutto. Eccolo:
Referendum 2011: un’occasione di democrazia
Le questioni sono tre, quattro i quesiti: una guida che tende ad essere imparziale // Antonello Antonelli
Avvolti da un alone di silenzio o caricati di significati politici o, peggio ancora, propagandistici, i quattro quesiti referendari sui quali gli italiani saranno chiamati a decidere il 12 e 13 giugno sono davvero poco conosciuti nel loro pieno e specifico significato: sono questi contrapposti motivi che hanno vanificato negli ultimi quindici anni il ricorso ad uno strumento di democrazia diretta così importante come il referendum. Premesso che proprio per la sua natura costituzionale (con l’introduzione del quorum) l’elettore può legittimamente astenersi dal votare uno, alcuni o tutti i quesiti, l’esercizio del voto tuttavia appare, ancor di più quando si tratta di uno strumento di democrazia diretta, un’occasione fondamentale di esprimere la nostra partecipazione attiva alla gestione democratica dello Stato. Pretendere, tuttavia, di restringere i referendum 2011 a parole d’ordine, semplici ma riduttive, come acqua pubblica, energia pulita e uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, non rende ragione di uno sforzo di comprensione e di prospettiva che occorrerebbe fare quando ci sono in ballo questioni delicate.
I primi due referendum trattano del servizio idrico. Con il primo quesito (scheda rossa) si chiede di abrogare la legge che permette di affidare la gestione delle reti idriche ai privati: l’acqua, quindi, è (e non può essere diversamente) sempre patrimonio di tutti, la sua proprietà non è stata trasferita ai privati, ma a questi ultimi si delega la gestione del suo arrivo in tutte le case. Se si vota sì, la gestione tornerà esclusivamente allo Stato che ha gestito l’acqua attraverso società pubbliche con componenti (ovviamente) di nomina politica. Se si vota no, la gestione delle reti idriche potrà continuare ad essere assicurata anche da aziende private. Con il secondo quesito (scheda gialla) si chiede di abrogare alcune norme che permettono ai gestori (pubblici o privati) di fissare la tariffa per l’erogazione dell’acqua in base non solo ai costi di gestione ma anche ad una quota di profitto da realizzarsi. Se si vota sì, si impedisce ai gestori di aumentare le tariffe dell’acqua per conseguire maggiore profitto (ma solo se aumentano i costi di gestione), se si vota no, si mantiene la possibilità di ricavare profitto dalla gestione idrica.
Più semplice la spiegazione del terzo quesito (scheda grigia): si chiede di abrogare una norma che nel 2008 fu introdotta per consentire la ripresa del programma di costruzione delle centrali nucleari. Se si vota sì, viene impedito di realizzare nuovi insediamenti per la produzione di energia nucleare, se si vota no, viene mantenuta questa possibilità, che attualmente potrà essere concretizzata solo a partire dal 2012, vista la moratoria di un anno decisa dal Governo.
Il quarto quesito (scheda verde) chiede invece l’abrogazione della legge che permette al Presidente del Consiglio e ai ministri di poter far slittare una udienza penale ad altra data se impegnati in attività istituzionali (il cosiddetto “legittimo impedimento”). Se si vota sì, i membri del Governo dovranno presentarsi obbligatoriamente alle udienze penali fissate che li vedono coinvolti a qualsiasi titolo, tralasciando dunque le attività istituzionali in cui sono eventualmente impegnati, se si vota no, si mantiene il legittimo impedimento.
In questi giorni, nei quali intendo maturare per bene la mia decisione, credo di tornare sul tema del referendum sul mio blog, aperto come sempre al confronto.