La prima bandiera dell’Unità d’Italia
Piaccia o non piaccia, la prima bandiera dell’Unità d’Italia che oggi
celebriamo solennemente è proprio questa, con lo scudo sabaudo a ricordare che il processo di unificazione della nostra Patria è stato compiuto grazie anche al coraggio di una casata che osò sfidare le potenze europee e a rischio della propria stessa estinzione. Vero è che la svolta c’è stata con la fine del ramo principale dei Savoia (con Carlo Felice, ultimo sovrano senza figli) e l’arrivo dei Savoia-Carignano, da sempre considerati filo-francesi e liberali di idee, ma poco conta: la monarchia sabauda ha saputo intelligentemente governare il processo di unificazione, facendo sì che non degenerasse e dandogli quel riferimento ideale che fu lo Statuto Albertino, una costituzione, che rimase in vigore sino al 1948.
Senza dubbio il Savoia sono stati, nella storia d’Italia, dei regnanti alquanto controversi: a partire da Vittorio Emanuele II, il “padre della patria”, che rifiutò di cambiare il suo ordinale da “secondo” (come re di Sardegna) a “primo” (come re d’Italia), proseguendo con Umberto I, che pure mutò il suo ordinale, ma che si rese responsabile di aver approvato tacitamente l’eccidio di Bava Beccaris, per non parlare poi di Vittorio Emanuele III che rifiutò di proclamare lo stadio d’assedio propostogli il 28 ottobre 1922 contro la Marcia su Roma, spianando la strada a Benito Mussolini: colpa, questa, ben peggiore della firma sulle leggi razziali, poiché diede inizio di fatto alla dittatura fascista.
Umberto II, invece, è stato il Re che poteva riscattare i Savoia ed in parte lo ha fatto, peccato che fu frenato nei suoi progetti riformatori dal padre nel periodo della Luogotenenza. Inoltre, per un atto straordinario di amore all’Italia rifiutò di contestare in maniera più decisa (qualcuno gli prospettava anche il ricorso alle armi) il referendum istituzionale del 1946 che proclamò la Repubblica.
Peccato che figli e nipoti di Umberto II non siano all’altezza di cotanto sovrano, ma nell’improbabile ipotesi che torni la monarchia in Italia, non sarebbero certo Vittorio Emanuele (IV) ed Emanuele Filiberto i Re, quanto invece Amedeo d’Aosta, per la nota vicenda della perdita dello status di capofamiglia da parte del figlio di re Umberto in seguito al matrimonio non autorizzato con una borghese.
Da questa breve disamina, mi si direbbe monarchico. In effetti, sono più propenso verso la monarchia costituzionale che per la repubblica: ma si badi bene, manterrei precisamente l’assetto dello Stato come è uscito dall’assemblea costituente del 1946-1948, solo che al posto del Presidente della Repubblica, comunque condizionato da appartenenze politiche, metterei il Re, che non ha legami con i partiti e può rappresentare al meglio la Nazione unitaria. Questa convinzione, a dir la verità, mi si è incrinata un po’ durante il settennato di Carlo Azeglio Ciampi, uomo però non legato a parti politiche e per questo autenticamente super partes.
La forma repubblicana, secondo l’articolo 139 della Costituzione, non può essere oggetto di riforma costituzionale (secondo i dettami dell’art. 138), quindi la mia è una discussione del tutto accademica, ma quale casata dovrebbe regnare in caso di restaurazione monarchica?
Qui se la giocano in due, i Borboni e i Savoia, a meno che non si voglia ritornare all’idea di Vincenzo Gioberti che vagheggiava una unione federale con a capo il Papa. Sebbene i tentativi, pur apprezzati, di riabilitare la real casa di Borbone, sotto la quale il Sud conobbe anche splendidi momenti, ci siano stati e continuano ad esserci nel nome di un “meridionalismo” che è solo reazione al leghismo nordista, continuo a ritenere che i Savoia, pur con tutti i loro difetti, siano l’unica casata che meriterebbe, in astratto, di tornare a rappresentare un ipotetico ed improbabilissimo “Regno d’Italia”.