L’ispirazione cristiana di Guido Giuliante, medico, poeta, politico, presidente delle Acli di Chieti nel 1948

Oggi pomeriggio ho avuto l’onore di poter ricordare, presso la sala consiliare della Provincia di Chieti, l’esperienza sociale e politica di Guido Giuliante, che fu presidente provinciale delle ACLI di Chieti nel 1948 e poi consigliere nazionale negli anni 1952 e 1953, nell’ambito della presentazione del libro di Enrico Di Carlo “Il medico poeta che scolpiva emozioni”, insieme anche a Stefano Pallotta, presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo.

Questo il mio intervento, che comunque è stato ampliato anche da alcune integrazioni “a braccio”:

 

Nel preparare questo intervento, ci eravamo divisi per bene i compiti e giustamente a me sarebbe toccato (e tocca) parlare di Guido Giuliante uomo impegnato nel sociale, ossia nei Comitati Civici di Luigi Gedda, che lui conosceva personalmente e da cui era ampiamente stimato, tanto che fu proprio lui a tenere l’orazione funebre per il nostro medico poeta nella Cattedrale di San Giustino nel 1976, nell’Azione Cattolica (sempre presieduta da Gedda dal 1952 al 1959), e naturalmente nelle Acli di Chieti, di cui fu presidente provinciale – quindi mio illustre predecessore – nel 1948, divenendo poi tra il 1952 e il 1953 il nostro primo consigliere nazionale delle Acli.

 

Ma, approfondendo la conoscenza della figura di Guido Giuliante che, per me, giovane giornalista della redazione di Chieti de “Il Tempo” era il nome legato a quella meravigliosa e “stranissima” villa, tutta piena di altorilievi e bassorilievi, in via Pianell, di fronte al “Galiani”, mi sono reso conto, grazie al sapiente ed incalzante racconto di Enrico Di Carlo, che nell’uomo Giuliante convivono tutti i suoi aspetti, che vengono rivelati dalla poesia, dalla produzione teatrale e dagli interventi politici e giornalistici, tutti improntati al primato della dignità umana, così come delineata nella Dottrina Sociale della Chiesa. 

Nel magistero sapiente della Chiesa una parola ha il posto privilegiato, quella della libertà.

 

Già nel 1961, Giuliante scrive: «Forse l’opera sociale della Chiesa può essere riassunta in una sola necessità; la difesa della dignità della persona umana.

La libertà del bisogno,

la libertà della paura,

la libertà della guerra.

D’accordo: la difesa di tutte queste libertà può essere riassunta nella necessità della difesa della dignità della persona umana».

 

 

In una poesia di poco posteriore si legge:

 

 

La libertà è come un vento lieto

 

che gira e gira l’universo intero.

 

A quel soffiar non son finestre chiuse.

 

Si libra sopra i tetti de le case,

corre sul mare a rigonfiar le vele

 

e soffia e soffia a ricercare il vero

 

e soffia e soffia a regalare il vero.

 

È come un fiato e porta le due coppe

 

de la bilancia a soppesar giustizia

 

dritta tra i vivi.

 

 

Mi ha fatto una certa impressione leggere che tra le ultime parole da lui pronunciate nel comizio a Civitella Messer Raimondo al termine del quale si sentirà male e morirà, ci sono quelle relative alla libertà: «La libertà è la vita stessa dell’uomo, è la garanzia di ogni retto rapporto umano».

 

L’azione sociale e politica – perché sono due aspetti del tutto connessi – di Giuliante è sempre sotto il segno della libertà, fin da quando nel 1948 aderisce ai Comitati Civici di Gedda, che furono il “braccio armato”, per così dire, di Pio XII nella battaglia, ardua e dalle prospettive gravide di conseguenze, delle elezioni politiche del 18 aprile, che segnò la scelta definitiva di campo occidentale ed atlantista, in netta contrapposizione al Comunismo. Tra l’altro, a Chieti l’impegno dei laici in quel frangente era particolarmente importante perché la città era (e sarebbe rimasta per tutto il periodo della campagna elettorale) senza Arcivescovo, poiché l’amatissimo mons. Giuseppe Venturi, il salvatore della città, dichiarata grazie a lui “città aperta” dai Nazisti, era morto nel novembre 1947 e il suo successore, mons. Giovanni Battista Bosio, si sarebbe insediato solo nel settembre 1948, dopo la sua nomina nel luglio di quell’anno cruciale.

 

Mons. Bosio è una figura centrale per l’impegno sociale di Guido Giuliante, che dopo la battaglia elettorale con i Comitati Civici e la Democrazia Cristiana, aderisce alle Acli, nate a Chieti l’anno prima (il primo circolo di base che nasce è quello di Vasto, seguito poi dal primo nel capoluogo), a tre anni dalla loro fondazione a Roma. Grazie alla sua indiscussa leadership, conquistata sul campo elettorale, Giuliante assume la presidenza provinciale e sperimenta la concretizzazione nel quotidiano dei principi della Dottrina Sociale della Chiesa, soprattutto nel mondo del lavoro e nella difesa dei diritti dei più poveri, che sono la base ideale dell’azione delle Acli. Il suo impegno non passa inosservato, tant’è che già nel 1952 viene eletto nel consiglio nazionale, proprio nel momento in cui il vicepresidente Dino Pennazzato dichiara che le Acli «sono parte essenziale ed elemento costitutivo del movimento operaio». Giuliante contribuisce a rimodellare l’associazione, che aveva rotto i ponti con la Cgil, il sindacato allora unitario dei lavoratori, come un organismo complesso dalla molteplice natura: mutualistica, sindacale, cooperativa, educativo-culturale. È merito di Penazzato, diventato presidente, se il 1º maggio 1955, festa del lavoro in tutto il mondo, viene riconosciuto dal Papa come la prima festa cristiana del lavoro e le Acli ottengono che la festa del lavoro coincida per sempre con la festività di “San Giuseppe artigiano”. I lavoratori delle Acli affolleranno così piazza San Pietro per festeggiare il decennale di vita dell’associazione e, nell’occasione, Penazzato pronuncia il cosiddetto “discorso delle tre fedeltà” davanti al papa Pio XII. Le Acli saranno fedeli alla Chiesa; al mondo del lavoro; alla democrazia. Tre sensibilità che Guido Giuliante non dimenticherà mai come dimostrano i suoi interventi sul giornale diocesano creato proprio da mons. Bosio, l’Amico del Popolo, che ha visto il dispiegarsi della sua azione politica e sociale.

 

Questa azione, che non viene mai meno in tutti i tre decenni successivi all’impegno nei Comitati Civici, ha il suo fulcro nella difesa della persona umana di fronte ai rischi che la modernità e il pensiero secolare potevano mettere davanti agli uomini. Ma anche di fronte ai piccoli e grandi egoismi che gli uomini potevano anteporre al bene pubblico, come succede negli anni in cui difese l’istituzione dell’Università in Abruzzo e ne caldeggiò la sede unica, in Val Pescara, dove batteva il cuore sociale ed economico della regione, anticipando quelle che sono le coordinate geografiche dell’ateneo teatino. Anche allora si dibatteva sulla contrapposizione tra facoltà in città, sul “Colle”, e allo “Scalo”, ma questa era per Giuliante, giustamente, una questione secondaria, di fronte all’importanza stessa di avere l’ateneo in Abruzzo e, all’interno dell’Abruzzo, in Val Pescara. Di fronte a questo e ad altre questioni sociali e politiche, Guido Giuliante non mancò mai di coraggio e di lungimiranza, non preoccupandosi mai di “piacere” alle masse, ma di rispondere sempre alla propria coscienza di cristiano e di uomo. «Il coraggio – disse ad un giornalista che lo intervistava nel 1973 – non è temerarietà. Anzi, ne è l’opposto. Il coraggio è dovere. Dove manca la paura, non può trovar posto per il coraggio».

 

Questo è l’uomo, il cristiano che sa che non tutto dipende da lui, ma che tutto s’impegna in ciò per cui vale la pena impegnarsi, come le grandi battaglie degli anni Settanta, quella per il referendum contro il divorzio, che combatté e perse, quella per la maggioranza alle elezioni politiche del 1976, che combatté e vinse, anche se non riuscì a vedere l’esito dei suoi sforzi, logorato, poco prima dell’apertura delle urne, dal suo stesso cuore generoso, che aveva messo tutto in campo. 

Immenso è il patrimonio umano e sociale che ci ha lasciato Giuliante, specie per Chieti e la sua provincia, un punto che toccherà all’autore del libro dipanare per bene, quello che emerge dalla lettura di tutte le sue carte, molte delle quali devono ancora essere portate alla luce, è la figura di un cristiano coerente ma mai rigido ed intransigente, di chi cioè ha compreso la lezione di Gesù di Nazaret e ne ha cercato di ripercorrere lo stile in tutto quello in cui si è impegnato. Una figura illuminante che anche oggi avrebbe molto da insegnare ai laici e anche alla gerarchia cattolica!

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