Terza giornata a Trieste: il “noi” della democrazia

Oggi a Trieste, la terza giornata delle Settimane Sociali dei Cattolici in Italia parte forte, con la relazione della psicologa Mara Gorli:
“(…) Il “noi” è una relazione in cui non mancano interazioni, solitudini, illusioni, disillusioni, tensioni e nasce con la collaborazione. Il mito del self made man ci spinge solo ad essere consumatori e in questo caso l’io mangia il noi.

La libertà personale è possibile solo nella comunità, mentre la nostra tradizione ci ha consegnato una narrazione in cui è centrale l’immagine dell’eroe: così si cresce psicologicamente predisposti a difenderci. Occorre cambiare la narrazione. (…)
Tuttavia anche il gruppo può diventare un problema, un noi che mangia l’io: il gruppo può avere bisogno di un riconoscimento continuo, i suoi membri possono sentire un’appartenenza difensiva, che se non garantita porta al cambiamento del gruppo, un’infinità di attività di progetti semplicemente per rendere presente il gruppo, infine il rischio di cercare la figura chiave che rappresenta tutti, il grande leader. (…)
Occorre riportare fiducia alle relazioni sociali, pensare ai soggetti e non agli individui, prestare attenzione a non concentrarsi sul leader ma sui follower, perché non esiste un leader senza coloro che lo seguono, un leader senza follower è inutile; valorizzare il capitale sociale del gruppo, sia all’interno, curando i legami interni, sia all’esterno, aprendo rete relazioni, facendo ponti; prestare molta attenzione alla narrazione, scambiare più conoscenze e valorizzare la vulnerabilità dell’altro e infine sviluppare processi di riflessività critica (…)”.
Subito dopo, ha tenuto la sua relazione, grandissima, il prof. Filippo Pizzolato.
“(…) La cittadinanza secondo la Costituzione non è limitata al momento del voto: il popolo è sovrano in quanto concreto. La democrazia non si regge solo sul voto ma si nutre di prassi, di tessitura feriale, che è il compito della Repubblica: la partecipazione. (…)
Nemmeno l’organo rappresentativo può definire il volere del popolo che non si può ridurre ad una sola definizione. (…)
Il rischio di molta retorica è che la partecipazione sia confinata a luoghi chiusi, laboratori episodici che non hanno un’effettiva concretezza: la nostra è una Costituzione trasformativa che è sempre dà voce alle nuove istanze che chiedono di avere ascolto.
(…) La partecipazione politica non si può rinchiudere sul palco delle istituzioni, ma deve esercitarsi nei luoghi del vivere sociale. Il rapporto tra partiti e partecipazione è malato: serve una legge che costringa i partiti a darsi un ordinamento democratico. (…)”.

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